8 marzo, poco da festeggiare per le donne che lavorano a Bari
Avvilente per il gentil sesso il quadro tracciato da Svimez nell'anticipazione della relazione sul mezzogiorno
venerdì 8 marzo 2019
8.51
"Questione femminile altra faccia della questione meridionale", con questo titolo Svimez (associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) presenta alcuni dati in anteprima sulla condizione della donna a Bari e nel sud Italia. Un quadro desolante per il gentil sesso emerge in questa anticipazione di una ricerca sulla condizione della donna nel sud.
«il tasso d'occupazione femminile tra 15 e 64 anni - sottolinenano - in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria, è addirittura più basso della Guaiana francese, dell'Estremadura spagnola, della Tessaglia e della Macedonia in Grecia, e perfino dell'enclave spagnola di Melilla in Marocco», con il paradosso che le giovani meridionali investono in formazione e conoscenza diventando quel "capitale umano" necessario per competere nel mondo del lavoro e allo stesso tempo vittime di una società immobile non capace di offrire ciò che spetterebbe loro.
Oltre ad essere disoccupate, le donne del sud quando sono occupate rivestono ruoli non consoni alla loro figura, per cui ci sono quindi: «meno donne che lavorano al sud d (in totale 2 milioni 283 mila su 9.760 mila in tutt'Italia) ma, soprattutto, svolgono mansioni prevalentemente dequalificate». Da considerare anche che solo il 63,7% delle laureate al sud lavoro ( contro un 81,3% dell'Europa), oltre al fatto che delle donne meridionali che lavorano circa una su tre lavora al nord.
Inoltre, a parità di qualifica le donne sono penalizzate dal punto di vista retributivo: «una donna laureata da quattro anni che lavora al Sud ha un reddito medio mensile netto di 300 euro inferiore a quello di un uomo (1000 euro contro 1300)».
Ultimo, ma solo in termini statistici, il fatto che il welfare italiano non aiuta le donne che provano a conciliare lavoro e carriera con la famiglia, anzi spesso tale possibilità non è proprio contemplata: «causando anche incertezza economica e una modifica dei comportamenti sociali».
«il tasso d'occupazione femminile tra 15 e 64 anni - sottolinenano - in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria, è addirittura più basso della Guaiana francese, dell'Estremadura spagnola, della Tessaglia e della Macedonia in Grecia, e perfino dell'enclave spagnola di Melilla in Marocco», con il paradosso che le giovani meridionali investono in formazione e conoscenza diventando quel "capitale umano" necessario per competere nel mondo del lavoro e allo stesso tempo vittime di una società immobile non capace di offrire ciò che spetterebbe loro.
Oltre ad essere disoccupate, le donne del sud quando sono occupate rivestono ruoli non consoni alla loro figura, per cui ci sono quindi: «meno donne che lavorano al sud d (in totale 2 milioni 283 mila su 9.760 mila in tutt'Italia) ma, soprattutto, svolgono mansioni prevalentemente dequalificate». Da considerare anche che solo il 63,7% delle laureate al sud lavoro ( contro un 81,3% dell'Europa), oltre al fatto che delle donne meridionali che lavorano circa una su tre lavora al nord.
Inoltre, a parità di qualifica le donne sono penalizzate dal punto di vista retributivo: «una donna laureata da quattro anni che lavora al Sud ha un reddito medio mensile netto di 300 euro inferiore a quello di un uomo (1000 euro contro 1300)».
Ultimo, ma solo in termini statistici, il fatto che il welfare italiano non aiuta le donne che provano a conciliare lavoro e carriera con la famiglia, anzi spesso tale possibilità non è proprio contemplata: «causando anche incertezza economica e una modifica dei comportamenti sociali».