Anna Maria, 11 anni, beve soda caustica al posto dell'acqua. Al via il processo
La piccola era ad un matrimonio in una sala di Turi, oggi è costretta a continui interventi di dilatazione dell'esofago
sabato 2 novembre 2019
8.30
Ha solo nove anni Anna Maria quando ad un ricevimento di matrimonio con i genitori beve soda caustica invece di acqua. Sono passati due anni e oltre 40 interventi da quella sera e il prossimo 8 novembre partirà il processo penale, che dovrà stabilire di chi sono le responsabilità di quanto non avrebbe dovuto accadere.
La sera del 31 luglio 2017 a villa Menelao a Turi una festa si è trasformata in un incubo per la bambina e la sua famiglia. «Da allora è come se il tempo si fosse fermato per noi - racconta il papà Giovanni Cagnazzo - Anna Maria è stata 45 giorni in rianimazione, poi i medici sono stati costretti ad alimentarla per via endovenosa. Ha perso 25 chili in un anno. Ora la situazione è più o meno stabile, prende il cortisone che la gonfia e ora stanno provando a darle una specie di gelatina che bagna l'esofago e dovrebbe creare meno problemi alla ghiandola surrenale».
Da due anni la vita di Anna Maria è caratterizzata da continue trasferte a Parma, uno dei pochi centri specializzato per questo tipo di problemi. Una volta al mese deve sottoporsi a interventi di dilatazione dell'esofago, ad oggi ancora ustionato e in cui sono create bolle cicatriziali, oltre a presentare fibrina riparativa.
«Non sappiamo quando potrà finire questo ciclo di interventi - sottolinea il papà - possiamo solo provare a prolungare i tempi tra l'uno e l'altro. Ma dipende da come vanno le cose, purtroppo con l'esofago in queste condizioni può ingerire senza problemi solo cibi fluidi, quelli più solidi rischiano di bloccarsi. C'è la possibilità di sostituzione dell'esofago, ma si parla di un rischio di mortalità pari al 50% per cui meglio tenersi l'invalidità piuttosto che rischiare».
Il prossimo 8 novembre parte il processo penale a carico di due dipendenti della sala dove è avvenuto l'incidente. In corso, invece, anche la causa civile. «Purtroppo, nella causa civile stanno cercando di dare la colpa ai medici del Giovanni XXIII, che subito non capirono cosa fosse successo e pensarono ad una reazione allergica - conclude Giovanni Cagnazzo - Ma noi non ci pieghiamo, non abbiamo voluto accettare compromessi perché la dignità di una bambina non si compra. Non posso accettare accordi prima del processo, sarà il giudice a stabilire il risarcimento e solo allora giustizia sarà fatta».
La sera del 31 luglio 2017 a villa Menelao a Turi una festa si è trasformata in un incubo per la bambina e la sua famiglia. «Da allora è come se il tempo si fosse fermato per noi - racconta il papà Giovanni Cagnazzo - Anna Maria è stata 45 giorni in rianimazione, poi i medici sono stati costretti ad alimentarla per via endovenosa. Ha perso 25 chili in un anno. Ora la situazione è più o meno stabile, prende il cortisone che la gonfia e ora stanno provando a darle una specie di gelatina che bagna l'esofago e dovrebbe creare meno problemi alla ghiandola surrenale».
Da due anni la vita di Anna Maria è caratterizzata da continue trasferte a Parma, uno dei pochi centri specializzato per questo tipo di problemi. Una volta al mese deve sottoporsi a interventi di dilatazione dell'esofago, ad oggi ancora ustionato e in cui sono create bolle cicatriziali, oltre a presentare fibrina riparativa.
«Non sappiamo quando potrà finire questo ciclo di interventi - sottolinea il papà - possiamo solo provare a prolungare i tempi tra l'uno e l'altro. Ma dipende da come vanno le cose, purtroppo con l'esofago in queste condizioni può ingerire senza problemi solo cibi fluidi, quelli più solidi rischiano di bloccarsi. C'è la possibilità di sostituzione dell'esofago, ma si parla di un rischio di mortalità pari al 50% per cui meglio tenersi l'invalidità piuttosto che rischiare».
Il prossimo 8 novembre parte il processo penale a carico di due dipendenti della sala dove è avvenuto l'incidente. In corso, invece, anche la causa civile. «Purtroppo, nella causa civile stanno cercando di dare la colpa ai medici del Giovanni XXIII, che subito non capirono cosa fosse successo e pensarono ad una reazione allergica - conclude Giovanni Cagnazzo - Ma noi non ci pieghiamo, non abbiamo voluto accettare compromessi perché la dignità di una bambina non si compra. Non posso accettare accordi prima del processo, sarà il giudice a stabilire il risarcimento e solo allora giustizia sarà fatta».