Bari, identificata l’eruzione di una magnetar extragalattica
Coinvolto nello studio un gruppo di ricercatori del Dipartimento Interateneo di Fisica dell’Università e del Politecnico di Bari, e della Sezione di Bari dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
venerdì 15 gennaio 2021
8.11
Il 15 aprile 2020, un breve lampo di luce di alta energia emesso 10 milioni di anni fa ha attraversato la nostra Galassia ed infine il Sistema Solare, per essere captato da differenti satelliti in orbita attorno alla Terra. Dopo mesi di attenta analisi dei dati, diversi team scientifici internazionali hanno concluso che l'esplosione proveniva da un stella "super magnetizzata" nota come "magnetar", situata nella vicina galassia denominata NGC 253. Questa scoperta conferma l'ipotesi che alcuni lampi di raggi gamma (GRB) - esplosioni cosmiche rilevate nel cielo quasi quotidianamente - siano in realtà potenti bagliori provenienti da magnetar relativamente vicine.
Gli studi che analizzano tutti i diversi aspetti e le sue implicazioni di questo fenomeno sono stati pubblicati il 14 gennaio 2021 sulle prestigiose riviste Nature, Nature Astronomy e The Astrophysical Journal Letters, e hanno visto il coinvolgimento di un gruppo di ricercatori del Dipartimento Interateneo di Fisica dell'Università e del Politecnico di Bari, e della Sezione di Bari dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).
«Le magnetar sono stelle di neutroni con i campi magnetici più potenti conosciuti, fino a mille miliardi di volte più intensi rispetto a quelli generati da un magnete da frigorifero», commenta la Dott.ssa Elisabetta Bissaldi, ricercatrice del Politecnico di Bari, e responsabile della pubblicazione su Nature. «Talvolta, nelle magnetar si verificano enormi eruzioni o "brillamenti" giganti che producono raggi gamma, la forma di luce di più alta energia. Solo 2 delle 29 magnetar catalogate nella nostra galassia, la Via Lattea, hanno mai prodotto tali brillamenti. L'evento più recente, che risale al 2004, ha prodotto cambiamenti misurabili nell'atmosfera della Terra».
Tra i vari strumenti che hanno registrato la radiazione gamma prodotta dall'esplosione del 15 aprile 2020, ci sono anche i due rivelatori a bordo del satellite NASA Fermi, il Gamma-ray Burst Monitor (GBM) e il Large Area Telescope (LAT). I due rivelatori sono gestiti da grandi collaborazioni scientifiche internazionali, in cui, oltre all'INFN, sono coinvolti anche l'INAF, l'ASI e varie Università italiane.
«I brillamenti nella nostra galassia sono talmente intensi da accecare i nostri strumenti, non permettendoci di studiare i loro segreti - spiega il Prof. Francesco Loparco dell'Università di Bari, responsabile locale dell'esperimento Fermi - Per la prima volta, poiché l'evento era molto lontano da noi, in un'altra galassia, i nostri strumenti a bordo di Fermi sono stati in grado di catturarne con chiarezza ogni caratteristica, permettendo così di esplorare queste potenti eruzioni con un dettaglio senza precedenti. L'evento dello scorso 15 aprile è stato il primo brillamento gigante verificatosi dal lancio di Fermi nel 2008, e la capacità del GBM di osservare variazioni su scale temporali fino al miliardesimo di secondo si è dimostrata fondamentale. Le osservazioni rivelano più impulsi, con il primo che raggiunge il suo massimo in soli 77 microsecondi - circa 13 volte più veloce del flash di una fotocamera».
Nell'identificazione della posizione della magnetar ha svolto un ruolo fondamentale anche lo strumento LAT a bordo del satellite Fermi. «Il contributo di Fermi-LAT – sottolinea il Dott. Nicola Mazziotta della Sezione INFN di Bari, responsabile nazionale dell'esperimento Fermi – è stato decisivo per confermare l'associazione spaziale dei fotoni di alta energia osservati dal satellite con la lontana galassia NGC 253».
Gli studi che analizzano tutti i diversi aspetti e le sue implicazioni di questo fenomeno sono stati pubblicati il 14 gennaio 2021 sulle prestigiose riviste Nature, Nature Astronomy e The Astrophysical Journal Letters, e hanno visto il coinvolgimento di un gruppo di ricercatori del Dipartimento Interateneo di Fisica dell'Università e del Politecnico di Bari, e della Sezione di Bari dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).
«Le magnetar sono stelle di neutroni con i campi magnetici più potenti conosciuti, fino a mille miliardi di volte più intensi rispetto a quelli generati da un magnete da frigorifero», commenta la Dott.ssa Elisabetta Bissaldi, ricercatrice del Politecnico di Bari, e responsabile della pubblicazione su Nature. «Talvolta, nelle magnetar si verificano enormi eruzioni o "brillamenti" giganti che producono raggi gamma, la forma di luce di più alta energia. Solo 2 delle 29 magnetar catalogate nella nostra galassia, la Via Lattea, hanno mai prodotto tali brillamenti. L'evento più recente, che risale al 2004, ha prodotto cambiamenti misurabili nell'atmosfera della Terra».
Tra i vari strumenti che hanno registrato la radiazione gamma prodotta dall'esplosione del 15 aprile 2020, ci sono anche i due rivelatori a bordo del satellite NASA Fermi, il Gamma-ray Burst Monitor (GBM) e il Large Area Telescope (LAT). I due rivelatori sono gestiti da grandi collaborazioni scientifiche internazionali, in cui, oltre all'INFN, sono coinvolti anche l'INAF, l'ASI e varie Università italiane.
«I brillamenti nella nostra galassia sono talmente intensi da accecare i nostri strumenti, non permettendoci di studiare i loro segreti - spiega il Prof. Francesco Loparco dell'Università di Bari, responsabile locale dell'esperimento Fermi - Per la prima volta, poiché l'evento era molto lontano da noi, in un'altra galassia, i nostri strumenti a bordo di Fermi sono stati in grado di catturarne con chiarezza ogni caratteristica, permettendo così di esplorare queste potenti eruzioni con un dettaglio senza precedenti. L'evento dello scorso 15 aprile è stato il primo brillamento gigante verificatosi dal lancio di Fermi nel 2008, e la capacità del GBM di osservare variazioni su scale temporali fino al miliardesimo di secondo si è dimostrata fondamentale. Le osservazioni rivelano più impulsi, con il primo che raggiunge il suo massimo in soli 77 microsecondi - circa 13 volte più veloce del flash di una fotocamera».
Nell'identificazione della posizione della magnetar ha svolto un ruolo fondamentale anche lo strumento LAT a bordo del satellite Fermi. «Il contributo di Fermi-LAT – sottolinea il Dott. Nicola Mazziotta della Sezione INFN di Bari, responsabile nazionale dell'esperimento Fermi – è stato decisivo per confermare l'associazione spaziale dei fotoni di alta energia osservati dal satellite con la lontana galassia NGC 253».