Bari, negozi cinesi in crisi per il corona virus? Alcuni hanno la soluzione
Casalinghi, abbigliamento e ristoranti puntano sulla pubblicità informativa: "I nostri dipendenti non vanno in Cina da un anno"
lunedì 10 febbraio 2020
9.29
Tutti comprano cinese, tutti producono in Cina, tutti ora hanno paura dei prodotti con gli occhi a mandorla. Con la psicosi del corona virus anche l'economia ha frenato. Se n'è accorta anche Bankitalia che ha stimato di perdere un paio di punti di PIL a causa della contrazione del mercato cinese dall'inizio dell'anno. In piccolo quelli che stanno soffrendo di più sono i negozi di quartiere, "il cinese sotto casa", quello che vende dai calzini alle viti, agli articoli da regalo ai detersivi, i bazar insomma. Ce ne sono tanti in diverse zone della città, dal centro alle periferie. A San Pasquale, zona Parco 2 giugno, ce ne sono due abbastanza grandi. In entrambi la clientela è diminuita sebbene chi li gestisce vive a Bari da circa vent'anni (le figlie frequentano le scuole, loro parlano perfettamente in italiano) e frequentano quindi gli stessi posti di tutti i baresi - dalla posta al supermercato, al medico. Non tutti però amano parlarne, molti evitano l'argomento per una sorta di sentimento di emarginazione che da circa un mese inizia a serpeggiare negli ambienti più diversi, da quelli più popolari a quelli più elevati. Per evitare di perdere clientela ecco allora che in molti studiano mosse di contrasto al fenomeno.
Le modalità sono diverse a seconda del settore. Per quanto riguarda i ristoranti, diversi di loro, sia a Bari che in provincia, stanno sfruttando i social come Facebook e Instagram per postare documentazione relativa alla provenienza delle materie prime utilizzate e dimostrare che è tutto Made in Italy. Un ristorante di Mola di Bari ha addirittura reso pubblico un certificato rilasciato dalla Confesercenti in cui si attesta la provenienza del cibo e che tutti i dipendenti non sono andati in Cina nell'ultimo periodo.
Per quanto riguarda, invece, i negozi di abbigliamento o gli ingrossi, anche loro stanno cercando di correre ai ripari prima che il panico possa diventare tale da svuotarli completamente. L'ingrosso MaxCina, presente sulla strada che da Bari conduce a Modugno, ha voluto mettere in chiaro con un cartello che non ci sono pericoli a frequentare il negozio. Oltre a sottolineare che «I prodotti made in China non possono trasmettere il virus e gli oggetti non presentano un rischio diverso rispetto a qualsiasi altro prodotto» hanno voluto, anche loro, precisare che i dipendenti sono italiani o non vanno in Cina da tempo.
Amaro comunque lo sfogo di una commerciante di Triggiano: «Ci fa davvero male vedere delle clienti essere richiamate da altre persone per digli "non entrare sono cinesi" oppure quando camminiamo per strada e la gente ci insulta da dietro per additarci come mostri. Possiamo capire, anche noi abbiamo paura di tutto questo, ma spero soltanto che possiate capire che quelle poche parole razziste fanno davvero male».
Le modalità sono diverse a seconda del settore. Per quanto riguarda i ristoranti, diversi di loro, sia a Bari che in provincia, stanno sfruttando i social come Facebook e Instagram per postare documentazione relativa alla provenienza delle materie prime utilizzate e dimostrare che è tutto Made in Italy. Un ristorante di Mola di Bari ha addirittura reso pubblico un certificato rilasciato dalla Confesercenti in cui si attesta la provenienza del cibo e che tutti i dipendenti non sono andati in Cina nell'ultimo periodo.
Per quanto riguarda, invece, i negozi di abbigliamento o gli ingrossi, anche loro stanno cercando di correre ai ripari prima che il panico possa diventare tale da svuotarli completamente. L'ingrosso MaxCina, presente sulla strada che da Bari conduce a Modugno, ha voluto mettere in chiaro con un cartello che non ci sono pericoli a frequentare il negozio. Oltre a sottolineare che «I prodotti made in China non possono trasmettere il virus e gli oggetti non presentano un rischio diverso rispetto a qualsiasi altro prodotto» hanno voluto, anche loro, precisare che i dipendenti sono italiani o non vanno in Cina da tempo.
Amaro comunque lo sfogo di una commerciante di Triggiano: «Ci fa davvero male vedere delle clienti essere richiamate da altre persone per digli "non entrare sono cinesi" oppure quando camminiamo per strada e la gente ci insulta da dietro per additarci come mostri. Possiamo capire, anche noi abbiamo paura di tutto questo, ma spero soltanto che possiate capire che quelle poche parole razziste fanno davvero male».