Bari, una panchina gialla dedicata a Giulio Regeni e Patrick Zaki

Il simbolo a favore dei diritti umani inaugurato in corso Vittorio Emanuele

giovedì 3 giugno 2021 15.30
È stata inaugurata questa mattina in corso Vittorio Emanuele, alla presenza dell'assessora al Welfare Francesca Bottalico e di Amnesty International Bari, gruppo 070, la panchina gialla per i diritti umani dedicata a Giulio Regeni e Patrick Zaki affinché non si abbassi la guardia sul tema dei diritti umani e di tutti i prigionieri di coscienza incarcerati ingiustamente in ogni parte del mondo.
"Questa panchina è un simbolo, come tanti attraversano la nostra città, che vuole tenere viva la coscienza su questioni che non possiamo dimenticare - ha commentato Francesca Bottalico -. D'altronde anche questo è il nostro ruolo di amministratori pubblici: fare in modo che di certe cose si parli, portarle all'attenzione del consiglio comunale e della cittadinanza, stimolare il confronto nelle scuole e nei luoghi della formazione, costruire memoria.
Il mio auspicio è che, da oggi, chiunque si siederà su questa panchina gialla possa ricordare la tragica morte di Giulio Regeni, la lunga prigionia di Patrick Zaki incarcerato ingiustamente a causa delle sue idee, e tenere viva l'attenzione sulle ingiustizie e le violazioni dei diritti che continuano a consumarsi in tutto il mondo".
Sono moltissimi, infatti, gli uomini e le donne privati della propria libertà, imprigionati e torturati solo per aver espresso opinioni politiche o per il loro lavoro in favore dei diritti umani: Patrick Zaki e Giulio Regeni sono fra questi. Zaki è uno studente egiziano del Master in Studi di genere dell'Università Alma Mater di Bologna, fermato all'aeroporto del Cairo il 7 febbraio 2020: da allora è incarcerato ingiustamente con l'accusa di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo. Regeni, invece, era un dottorando italiano dell'Università di Cambridge rapito al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani. Il corpo presentava evidenti segni di tortura, ancora oggi, però, non si conosce la verità sul caso. Amnesty International, sia a livello mondiale sia a livello nazionale e locale, si è subito attivata per fare luce.