Diffamò il giudice del processo Vendola, il Tribunale di Bari condanna Panorama
Scatta il maxi risarcimento a Susanna De Felice per Mondadori editore e i giornalisti Giorgio Mulè e Giacomo Amadori
mercoledì 9 ottobre 2019
0.19
La prima sezione civile del Tribunale di Bari ha condannato la società Arnoldo Mondadori editore spa, l'ex direttore del settimanale d'informazione Panorama Giorgio Mulè (attualmente deputato di Forza Italia), e il giornalista dello stesso periodico Giacomo Amadori, che dovranno risarcire per circa 98 mila euro l'ex giudice barese Susanna De Felice.
Sul banco degli imputati finisce il settimanale che tra il 20 febbraio e il 24 luglio 2013 aveva pubblicato sette articoli sul giudice, il quale nell'ottobre 2012 aveva assolto l'allora presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, dall'accusa di abuso d'ufficio relativo alla nomina di un primario dell'ospedale San Paolo di Bari. Scorretta, secondo i magistrati di Bari, sarebbe stata l'insinuazione mossa da Panorama per cui De Felice avrebbe prosciolto Vendola «Non perché la cosa prospettata fosse infondata ma perché amica di famiglia».
Secondo il Tribunale di Bari, si è trattato di una «Campagna diffamatoria a puntate», perpetrata attraverso la «Pubblicazione di articoli costruiti ad arte sulla base di notizie non vere». Il giornalista firma degli articoli in questione avrebbe in tal modo «Insinuato il sospetto di una forma di giustizia addomesticata a misura di potenti e amici».
Sul banco degli imputati finisce il settimanale che tra il 20 febbraio e il 24 luglio 2013 aveva pubblicato sette articoli sul giudice, il quale nell'ottobre 2012 aveva assolto l'allora presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, dall'accusa di abuso d'ufficio relativo alla nomina di un primario dell'ospedale San Paolo di Bari. Scorretta, secondo i magistrati di Bari, sarebbe stata l'insinuazione mossa da Panorama per cui De Felice avrebbe prosciolto Vendola «Non perché la cosa prospettata fosse infondata ma perché amica di famiglia».
Secondo il Tribunale di Bari, si è trattato di una «Campagna diffamatoria a puntate», perpetrata attraverso la «Pubblicazione di articoli costruiti ad arte sulla base di notizie non vere». Il giornalista firma degli articoli in questione avrebbe in tal modo «Insinuato il sospetto di una forma di giustizia addomesticata a misura di potenti e amici».