Gambizzarono un pusher, pena ridotta. La Cassazione «Non fu un atto di mafia»

I fatti risalgono al 2016. Per gli ermellini «gli avvertimenti non possono essere ritenuti sintomatici della sussistenza mafiosa»

mercoledì 12 febbraio 2025 11.23
A cura di Nicola Miccione
La "gambizzazione" non è un'azione propria solo delle associazioni mafiose, ma è «in grado di evocare tanto la criminalità organizzata di tipo mafioso quanto la criminalità comune, nell'ipotesi organizzata, e quella operante negli stupefacenti». Non basta che vi sia una gambizzazione, insomma, perché si parli di mafia.

L'ha stabilito la Corte di Cassazione nel caso di due baresi di 29 e 39 anni, Francesco Caricola e Francesco Cascella, entrambi difesi dall'avvocato Libio Spadaro e finiti a processo per lesioni personali e detenzione e porto illegale di arma da fuoco in concorso, nel caso del ferimento di un pusher minorenne a Poggiofranco nel settembre 2016. Cascella avrebbe ideato l'agguato e poi dato il "placet" al ferimento del giovane, mentre Caricola l'avrebbe attirato sul posto con l'inganno.

I giudici di primo e secondo grado riconobbero nei loro confronti l'aggravante mafiosa, ma la Cassazione annullò la seconda sentenza escludendo l'aggravante. Nel secondo processo d'Appello, la pena nei confronti dei due è stata ridotta a 2 anni e 8 mesi per Caricola e a 3 anni per Cascella. Secondo quanto ricostruito, il pusher sarebbe stato «reiteratamente avvertito» di smetterla di spacciare, «ma ciononostante aveva perseverato nella sua attività incurante dei moniti ricevuti».

Dopo l'ennesimo avvertimento sarebbe stato ferito da una terza persona. «Gli avvertimenti tesi a dissuadere la vittima nel perseverare nell'attività di spaccio in una zona di competenza di un clan non possono essere ritenuti elementi sintomatici della sussistenza dell'aggravante mafiosa«, secondo i giudici dell'Appello.