Ikea, dopo il caso di Milano , anche a Bari un licenziamento "eccessivo"
Ivana Veronese: «Decisione spoporzionata per 5 minuti di ritardo in pausa, stiamo agendo legalmente»
giovedì 30 novembre 2017
Dopo il caso di Milano, anche a Bari hn dipendente è stato licenziato da Ikea per motivi assurdi. L'uomo si chiama Claudio, lavora nel negozio barese da 11 anni, ed è un papà monoreddito di due bambini. L'accusa che l'azienda gli ha contestato è l'aver ritardato il rientro dalle pause di 5 minuti, per 5 volte in due mesi. In seguito a tale comportamento ritenutp inappropriato dall'azienda, Claudio è stato prima sospeso ed in seguito licenziato.
«Nel caso di Claudio Ikea parla di un reiterato ritardo nel rientro dalle pause - ha dichiarato ai nostri microfoni Ivana Veronese, segretaria nazionale Uiltucs, i sindacati che stanno seguendo i casi - ma si tratta di 5 volte e ogni volta di 5 minuti. La cosa tragica è che lo statuto dei lavoratori prevede che se l'azienda ritiene che un dipendente abbia fatto una mancanza, lo deve contestare appena lo sa. Ikea invece contesta adesso che ad agosto e settembre il sig. Claudio avrebbe fatto queste cose. Inoltre lo ha anche sospeso cautelativamente, sospensione che si fa in casi gravissimi. Niente altro tranne i ritardi è stato addebitato al dipendente, e la soluzione ovvero il licenziamento, nonostante le giustificazioni addotte, è assurda e sproporzionata. Purtroppo questo sta nella logica di Ikea, che se può permettersi di licenziare una lavoratrice madre di un bimbo disabile e un lavoratore monoreddito con due figli minori, può davvero fare di tutto e la gente ha paura».
«Purtroppo Claudio è un tempo pieno con 11 anni di anzianità (in pratica lavora lì dall'apertura del negozio, ndr) - sottolinea la Veronese - e quindi oggi è un lavoratore costoso. Ora è a casa, disperato per la situazione che si è creata. Abbiamo affidato la causa ad un legale in quanto il licenziamento è assolutamente illegittimo. In pratica dopo averlo sospeso cautelativamente, hanno preteso delle giustificazioni per il comportamento tenuto, tali giustificazioni non sono andate bene e quindi "il vincolo fiduciario si è interrotto", per cui si è proceduto all'immediato licenziamento. Sono convinta che alla fine riusciremo ad ottenere il reintegro, ma intanto è a casa. Inoltre spesso Ikea ha anche l'abitudine che in seguito al reintegro da parte dei giudici lascia i lavoratori a casa, con lo stipendio, senza rimetterli nel punto vendita. Il motivo è che non vuole si sappia che il giudice ha dato ragione ai dipendenti».
«La nostra campagna, partita il 17 novembre scorso - ci spiega in conlusione la segretaria - chiamata #cambiaikea e che ha raccolto già 25 mila firme, nasce in momenti non sospetti proprio perché negli ultimi due anni Ikea è cambiata profondamente come azienda. Prima aveva dei valori, la persona al suo interno contava e cresceva anche in termini di professionalità. Oggi non è più così, le persone sono diventate numeri, vengono spostate da un reparto all'altro, e se sei un tempo pieno costoso ti propongono anche dei soldi per farti andare via. Se rifiuti finisci nei reparti punitivi presenti all'interno di Ikea. I licenziamenti venuti fuori in questi giorni sono solo la punta di un iceberg. Non esiste più la famiglia felice dei cataloghi Ikea, ma prima Ikea era diversa e ci auguriamo che torni ad essere com'era».
«Nel caso di Claudio Ikea parla di un reiterato ritardo nel rientro dalle pause - ha dichiarato ai nostri microfoni Ivana Veronese, segretaria nazionale Uiltucs, i sindacati che stanno seguendo i casi - ma si tratta di 5 volte e ogni volta di 5 minuti. La cosa tragica è che lo statuto dei lavoratori prevede che se l'azienda ritiene che un dipendente abbia fatto una mancanza, lo deve contestare appena lo sa. Ikea invece contesta adesso che ad agosto e settembre il sig. Claudio avrebbe fatto queste cose. Inoltre lo ha anche sospeso cautelativamente, sospensione che si fa in casi gravissimi. Niente altro tranne i ritardi è stato addebitato al dipendente, e la soluzione ovvero il licenziamento, nonostante le giustificazioni addotte, è assurda e sproporzionata. Purtroppo questo sta nella logica di Ikea, che se può permettersi di licenziare una lavoratrice madre di un bimbo disabile e un lavoratore monoreddito con due figli minori, può davvero fare di tutto e la gente ha paura».
«Purtroppo Claudio è un tempo pieno con 11 anni di anzianità (in pratica lavora lì dall'apertura del negozio, ndr) - sottolinea la Veronese - e quindi oggi è un lavoratore costoso. Ora è a casa, disperato per la situazione che si è creata. Abbiamo affidato la causa ad un legale in quanto il licenziamento è assolutamente illegittimo. In pratica dopo averlo sospeso cautelativamente, hanno preteso delle giustificazioni per il comportamento tenuto, tali giustificazioni non sono andate bene e quindi "il vincolo fiduciario si è interrotto", per cui si è proceduto all'immediato licenziamento. Sono convinta che alla fine riusciremo ad ottenere il reintegro, ma intanto è a casa. Inoltre spesso Ikea ha anche l'abitudine che in seguito al reintegro da parte dei giudici lascia i lavoratori a casa, con lo stipendio, senza rimetterli nel punto vendita. Il motivo è che non vuole si sappia che il giudice ha dato ragione ai dipendenti».
«La nostra campagna, partita il 17 novembre scorso - ci spiega in conlusione la segretaria - chiamata #cambiaikea e che ha raccolto già 25 mila firme, nasce in momenti non sospetti proprio perché negli ultimi due anni Ikea è cambiata profondamente come azienda. Prima aveva dei valori, la persona al suo interno contava e cresceva anche in termini di professionalità. Oggi non è più così, le persone sono diventate numeri, vengono spostate da un reparto all'altro, e se sei un tempo pieno costoso ti propongono anche dei soldi per farti andare via. Se rifiuti finisci nei reparti punitivi presenti all'interno di Ikea. I licenziamenti venuti fuori in questi giorni sono solo la punta di un iceberg. Non esiste più la famiglia felice dei cataloghi Ikea, ma prima Ikea era diversa e ci auguriamo che torni ad essere com'era».