“Io Sono un’Amazzone”, intervista a Niky D’Attoma: «Cancro alla mammella? Bisogna parlarne»

Lo scrittore barese a BariViva: «Al Sud centri d’eccellenza. Fondamentale continuare con la prevenzione e con l'associazionismo»

giovedì 21 dicembre 2017
A cura di Riccardo Resta
La battaglia contro il cancro alla mammella si può vincere. Lo testimoniano le storie di tante donne che hanno combattuto la malattia e ne sono uscite vincitrici, e lo testimonia il nuovo romanzo dello scrittore barese Niky D'Attoma, "Io Sono un'Amazzone", uscito lo scorso novembre per Ensemble Editore.

Storie di donne che non si arrendono, raccolte dall'autore con pazienza e impegno in giro per diversi istituti oncologici, tra cui quello di Bari, alla ricerca di racconti in prima persona, punti di vista ed esperienze che potessero essere preziosi insegnamenti prima ancora che utile materia per una mirabile fatica letteraria.

«L'idea di questo libro – racconta l'autore Niky D'Attoma in una lunga chiacchierata con BariViva - nasce dalla conversazione che ebbi qualche tempo fa con una cara amica di famiglia, la quale aveva sofferto del cancro alla mammella. Raccontandomi questa esperienza si riferì a se stessa con la frase "Io sono un'Amazzone", in relazione proprio alla figura simbolo della donna-guerriera. Una discussione da cui hanno tratto origine altre considerazioni: sul corpo che cambia, sulla vita che cambia, sul sentirsi in lotta contro qualcosa, sulla battaglia che si deve a tutti i costi affrontare e, infine, sull'estremo bisogno di coraggio. Quello che ho capito è che queste persone hanno una grandissima necessità di raccontarsi, ma anche che noi abbiamo bisogno di ascoltare, mettendoci nei loro panni e provando a comprendere meglio la nostra fortuna nel condurre la vita che conduciamo».

Ecco, quindi, com'è cominciato il viaggio di D'Attoma, alla scoperta di testimonianze ma soprattutto di pezzi di vita che potessero incastrarsi in quello che è un validissimo esempio di romanzo di formazione/informazione. «Pensando che potesse essere un percorso interessante da affrontare, ho intrapreso le mie ricerche e i miei approfondimenti – prosegue lo scrittore - iniziando da ciò che mi circondava per poi estendere il campo avventurandomi nell'Istituto Oncologico di Bari. In questo viaggio ho scoperto realtà importanti e di cui non sapevo nulla prima, come il servizio di psicologia oncologica a supporto di pazienti e famiglie. Grazie a loro ho iniziato a conoscere le storie delle ex pazienti e a raccogliere testimonianze. Quello che m'interessava maggiormente non era il momento della diagnosi, uno shock che in qualche modo è simile per tutti; l'aspetto più importante da raccontare credo che fosse quello post-terapeutico, quando bisogna iniziare a ricostruire la propria vita partendo da zero. Un momento che mette in discussione tutti i rapporti che sussistevano in precedenza, da quelli interpersonali a quelli sul lavoro. Si tratta di un approccio multidimensionale che ti permette di apprezzare la persona nella sua interezza».

Dall'informazione passa anche un ruolo decisivo verso il consolidamento di una reale cultura preventiva di patologie come il cancro alla mammella. La situazione attuale, tutto sommato, lascia intendere che grossi passi avanti siano stati compiuti ma, come dice D'Attoma, ci sono ancora diversi spettri socio-culturali che aleggiano su un tema così importante. «Fortunatamente – ci spiega lo scrittore in base alle conoscenze maturate nelle sue ricerche -la cultura della prevenzione si sta diffondendo, anche se da fare c'è ancora molto, a partire dall'informazione scientifica. Dall'altra parte, però, intorno a determinati argomenti sussistono ancora delle forme di tabù, a partire proprio dal nome della malattia: spesso si cerca di edulcorarlo chiamando la patologia "tumore del seno", come se il suo vero nome, "tumore della mammella", nascondesse dei richiami troppo espliciti a una dimensione sessuale, quasi animalesca. Per questo, un libro che racconti di persone che ce l'hanno fatta dà una visione di speranza, e si propone come mezzo per il diritto/dovere di parlarne. La cosa più interessante da notare è come, parlando di questo libro, vengano fuori sempre nuove storie, e questo aiuta secondo me tantissimo a diffondere la voce sull'importanza di una reale cultura della prevenzione. L'obiettivo strettamente letterario di questo libro era proprio creare uno spazio comune in cui condividere delle esperienze di vita».

Totem e tabù, quindi. Tuttavia nulla d'insormontabile, o comunque che possa impedire alla divulgazione medico-scientifica di attecchire anche presso le bambine delle scuole primarie, riuscendo lì dove altre generazioni hanno fallito, schiacciate dal peso di un ineffabile che non ha ragione di esistere. Ancora D'Attoma: «La diffusione del concetto di prevenzione e di salute è un processo che va affrontato fin da subito: non c'è motivo di continuare a raccontare che i bambini nascono sotto i cavoli. Basta un approccio equilibrato alle questioni di salute, di coppia e – perché no – anche sessuali e si può tranquillamente iniziare fin dalla più tenera età ad arare un terreno favorevole su cui coltivare una prevenzione consapevole. Nelle storie che ho raccontato ho riscontrato una certa differenza generazionale, per cui le donne più anziane hanno incontrato maggiori difficoltà nell'emancipazione, lì dove le più giovani riescono a reagire meglio al dramma della malattia».

Determinante nell'approccio a questo tipo di patologie è stato anche l'upgrade umano e culturale della classe medica, che oltre a sviluppare poli di eccellenza ha anche rivisto le dinamiche che spesso s'instaurano da un lato all'altro della scrivania. «In Italia la situazione è in ottimo stato e gli sforzi sono tanti: ci sono, anche al Sud (e Bari è un esempio valido) dei centri all'avanguardia che sono punto di riferimento per le pazienti. Di straordinaria importanza è anche l'aspetto associativo, quello spazio comunitario di cui parlavamo prima e che è fondamentale per favorire il dialogo. Se da una parte è innegabile l'importanza delle terapie, dall'altra è altrettanto preziosa la comunicazione e il rapporto medico-paziente che sta migliorando anno dopo anno: le persone sono più consapevoli di quel che succede anche grazie alle spiegazioni sempre più efficaci e umane da parte dei medici».

Già, l'importanza delle associazioni. Sono, infatti, tantissime le realtà del volontariato che si spendono senza remore in favore dell'altro e che soffrono di poco appeal presso media e opinione pubblica. Non è, però, questo il caso dell'associazione Ui Together, di cui lo stesso D'Attoma è entrato a far parte e che si è resa protagonista d'importanti iniziative solidali, guadagnandosi anche il sostegno di alcune personalità di spicco dello spettacolo barese come Gianni Colajemma. «Nella mia esperienza – ci racconta D'Attoma - ho conosciuto l'associazione Ui Together proprio grazie all'Istituto Oncologico di Bari; una realtà formata da persone molto impegnate nella tutela della salute della paziente a trecentosessanta gradi. Nel romanzo parlo anche del bellissimo progetto "Rinascita", che si svolge presso la Casa delle Donne del Mediterraneo di Bari. Insieme all'associazione Ui Together e con il supporto di forti realtà imprenditoriali come la Fondazione Megamark, la Casa delle Donne del Mediterraneo offre a pazienti ed ex pazienti servizi gratuiti di make-up oncologico, di fisioterapia e consigli nutrizionali. Un ambiente sano, fatto di persone che ci credono davvero e che si mettono al servizio degli altri. Al momento si tratta dell'unico progetto di questo genere in Puglia ma, ovviamente, ben venga l'emulazione!».

Tutto, però, sarebbe inutile senza predisposizione al dialogo, sincero e senza filtri. Dunque l'invito finale di D'Attoma alle donne affette dal cancro alla mammella oppure che ne sono guarite è solo uno: «Parlatene, raccontatevi. A me se volete, ma anche alle persone che vi sono intorno. Tenersi tutto dentro non è inutile, è assolutamente dannoso e bisogna rendersi conto che più si condivide e più c'è la possibilità reale di far del bene».