Irisina nello spazio, ricercatori Uniba collaborano con la NASA
L'esperimento si terrà a bordo della capsula DRAGON che decollerà il prossimo 2 aprile dal Kennedy Space Center
martedì 13 marzo 2018
18.50
Un importante esperimento condotto dai ricercatori UNIBA si terrà a bordo della capsula DRAGON, che decollerà il 2 aprile 2018 dal Kennedy Space Center della NASA a Cape Canaveral, in Florida, in direzione della Stazione Spaziale Internazionale. Il gruppo è coordinato da Maria Grano, Ordinario di Istologia presso la scuola di Medicina ed è composto da Silvia Colucci, Giacomina Brunetti, Graziana Colaianni e Giorgio Mori. Il team di ricercatori allestirà un esperimento all'interno di moduli creati con le tecnologie necessarie per testare l'azione della molecola IRISINA, mai studiata da nessuno sulle cellule ossee nello spazio. Se i risultati ipotizzati dovessero essere confermati - dopo la valutazione in laboratorio dei campioni biologici rientrati dall'ISS - potremmo proporre di sfruttare Irisina come contromisura per contrastare l'osteoporosi e l'atrofia muscolare che gli astronauti sviluppano durante le missioni spaziali. Inoltre, tali risultati potrebbero rappresentare ulteriore spunto per sviluppare un nuovo farmaco anti-osteoporosi e anti-sarcopenia per i pazienti affetti da tali patologie a terra.
L'importanza di tale esperimento deriva dal fatto che tra gli organi che, più risentono degli effetti della permanenza nello spazio, sicuramente l'apparato muscolo-scheletrico è quello più colpito. La perdita di massa ossea a cui vanno incontro gli astronauti dopo 1 mese di permanenza nello spazio è pari alla perdita ossea a cui vanno incontro le donne in post-menopausa in 1 anno. Lo spazio si può, infatti, definire come una "macchina del tempo", in cui i processi di invecchiamento sono accelerati e rendono le cellule più "anziane" in pochi giorni. Pertanto, lo Spazio offre agli scienziati, in un tempo breve, la possibilità di valutare le alterazioni molecolari, che sulla Terra si verificano molto più lentamente durante l'invecchiamento e, nello stesso tempo, è possibile testare l'azione di molecole a scopo terapeutico.
Pertanto, l'obiettivo a lungo termine degli studi di biomedicina spaziale in questo campo è doppio:
1) individuare contromisure per la prevenzione della perdita di massa ossea e muscolare negli astronauti, soprattutto in vista delle missioni esplorative di lunga durata, ad esempio il progetto Marte;
2) studiare i meccanismi e gli effetti dell'invecchiamento e della sedentarietà prolungata a terra in un tempo breve.
In sintesi, lo spazio può aiutare gli scienziati nella prevenzione e nella cura delle malattie "terrestri". Il ruolo di Irisina sulla massa ossea e muscolare ha rappresentato una recente scoperta del gruppo di ricerca coordinato da Maria Grano e i risultati sono stati oggetto di concessione di brevetto nazionale ed internazionale. Lo studio, durato circa sei anni, ha rivelato che la somministrazione di Irisina, molecola prodotta dal muscolo durante l'esercizio fisico, è in grado di prevenire e curare lo sviluppo di osteoporosi e atrofia muscolare in modelli animali osteoporotici. In altre parole Irisina è capace di indurre formazione di nuovo osso e rende lo scheletro più resistente alle fratture.
Negli ultimi 20 anni si è osservato un aumento del numero di fratture dovute ad osteoporosi ed un conseguente aumento dei costi diretti e indiretti ad esse associate. Nel mondo si registrano circa 9 milioni di fratture all'anno, 1 frattura ogni 3 secondi. In Italia si registrano circa 100.000 ricoveri all'anno per frattura di collo di femore con costi annui pari a 1.100 milioni di euro. Da una stima effettuata da OMS, nel 2050 le fratture da fragilità ossea potrebbero raggiungere un costo pari a 6 bilioni di euro e sono destinate a crescere a causa del prolungamento della vita media. Da tutto ciò emerge l'importanza di sviluppare nuove molecole per la cura e soprattutto la prevenzione della fragilità ossea.
L'importanza di tale esperimento deriva dal fatto che tra gli organi che, più risentono degli effetti della permanenza nello spazio, sicuramente l'apparato muscolo-scheletrico è quello più colpito. La perdita di massa ossea a cui vanno incontro gli astronauti dopo 1 mese di permanenza nello spazio è pari alla perdita ossea a cui vanno incontro le donne in post-menopausa in 1 anno. Lo spazio si può, infatti, definire come una "macchina del tempo", in cui i processi di invecchiamento sono accelerati e rendono le cellule più "anziane" in pochi giorni. Pertanto, lo Spazio offre agli scienziati, in un tempo breve, la possibilità di valutare le alterazioni molecolari, che sulla Terra si verificano molto più lentamente durante l'invecchiamento e, nello stesso tempo, è possibile testare l'azione di molecole a scopo terapeutico.
Pertanto, l'obiettivo a lungo termine degli studi di biomedicina spaziale in questo campo è doppio:
1) individuare contromisure per la prevenzione della perdita di massa ossea e muscolare negli astronauti, soprattutto in vista delle missioni esplorative di lunga durata, ad esempio il progetto Marte;
2) studiare i meccanismi e gli effetti dell'invecchiamento e della sedentarietà prolungata a terra in un tempo breve.
In sintesi, lo spazio può aiutare gli scienziati nella prevenzione e nella cura delle malattie "terrestri". Il ruolo di Irisina sulla massa ossea e muscolare ha rappresentato una recente scoperta del gruppo di ricerca coordinato da Maria Grano e i risultati sono stati oggetto di concessione di brevetto nazionale ed internazionale. Lo studio, durato circa sei anni, ha rivelato che la somministrazione di Irisina, molecola prodotta dal muscolo durante l'esercizio fisico, è in grado di prevenire e curare lo sviluppo di osteoporosi e atrofia muscolare in modelli animali osteoporotici. In altre parole Irisina è capace di indurre formazione di nuovo osso e rende lo scheletro più resistente alle fratture.
Negli ultimi 20 anni si è osservato un aumento del numero di fratture dovute ad osteoporosi ed un conseguente aumento dei costi diretti e indiretti ad esse associate. Nel mondo si registrano circa 9 milioni di fratture all'anno, 1 frattura ogni 3 secondi. In Italia si registrano circa 100.000 ricoveri all'anno per frattura di collo di femore con costi annui pari a 1.100 milioni di euro. Da una stima effettuata da OMS, nel 2050 le fratture da fragilità ossea potrebbero raggiungere un costo pari a 6 bilioni di euro e sono destinate a crescere a causa del prolungamento della vita media. Da tutto ciò emerge l'importanza di sviluppare nuove molecole per la cura e soprattutto la prevenzione della fragilità ossea.