"Italiapartheid", Palmisano racconta razzismo e immigrazione

A Bari presentato il libro dell’autore pugliese, edito da Fandango

venerdì 21 giugno 2024 10.48
A cura di Vincenzo Azzollini
«Ti manca la tua famiglia?»
«Mi manca l'aria».


Lo scambio di battute tra l'autore e un giovanissimo rifugiato è uno dei passaggi più intensi di Italiapartheid. Stranieri nella penisola del razzismo, scritto da Leonardo Palmisano e appena pubblicato da Fandango Libri.

Lo scrittore e sociologo pugliese, editorialista del Corriere del Mezzogiorno e presidente di Radici Future Produzioni, ha presentato la sua opera a Spine Bookstore in Officina degli Esordi, in compagnia di Azmi Jarjawi di Cgil Puglia, dell'avvocata Shady Alizadeh e dell'avvocata Uljana Gazidede, con la moderazione della giornalista Annamaria Minunno.

Nella serata di Bari si è parlato dell'inferno dei CARA sovraffollati, delle violenze del caporalato, dello sfruttamento della prostituzione anche minorile, di sette anni di tempi d'attesa per avere un permesso di soggiorno, dei corto-circuiti e delle storture delle politiche nazionali e europee sui temi dell'immigrazione. Ma soprattutto del percepibile substrato di razzismo, di una piaga ormai sdoganata e quasi affrancata, con la quale le persone che arrivano nel nostro Paese fanno i conti ogni giorno in una spirale di emarginazione e sfruttamento.

«In Italia abbiamo tre grandi forme di razzismo», spiega l'autore: «i neri, i napoletani e gli zingari. Andate nelle curve degli stadi, non solo di Serie A. Frequentate le partite di calcetto. Durante un corso pomeridiano in un campetto sono stato salutato ripetutamente da un bambino con il saluto fascista. Lo ha imparato in curva allo stadio. Balotelli è stato dirompente: il primo nero in nazionale Italiana, con grandi capacità ma fuori di testa né più né meno che tanti. Come Cassano: anche lui ha subito episodi di razzismo perché meridionale e non colto. Ora, ma quanti sono i calciatori settentrionali che hanno studiato più di Cassano?».

Il razzismo, spiega Leonardo Palmisano, è un fenomeno fortemente connesso con il presente e con la stretta attualità del Paese, la cartina di tornasole di una direzione precisa che l'Italia sembra prendere a cominciare da chi governa: «Noi viviamo una dinamica sottoculturale, come in Inghilterra. Non c'è più un investimento da parte delle famiglie e della politica nell'innalzamento delle competenze offerte a scuola. Anche sul fronte del sessismo a scuola si ascoltano cose da rabbrividire. E questa china l'Italia l'ha presa da tempo, e porta dritta a questo governo, a Vannacci che prende cinquecentomila voti, cinquecentomila persone che convintamente hanno votato un razzista. È questa convinzione che a me fa paura. Se rompi gli argini e candidi questa persona come capolista, stai dicendo che tutto quello che c'è dietro può avere piena cittadinanza all'interno del consesso politico istituzionale, fino ad arrivare addirittura all'Europa. I fascisti vogliono sempre normalizzare questa roba qui, dare legittimità a chi ritiene che Mussolini sia stato un grande statista, che le leggi razziali siano state un errore imposto da Hitler invece che voluto, che qualcuno possa dire a Paola Egonu: tu non rappresenti questo Paese. Questa follia è stata legittimata, e queste elezioni Europee hanno davvero sdoganato un certo modo di far pensare».

Lo sfruttamento della prostituzione, le connessioni con la criminalità organizzata, l'inferno dopo l'arrivo soprattutto per le immigrate giovanissime e spesso minorenni è un altro dei temi caldi della conversazione: «Il paradosso è che l'Italia è uno dei Paesi con il numero più basso di coppie bianco-nera, ed è il Paese europeo con il numero più alto di rapporti sessuali a pagamento tra maschio bianco e donna nera. Questa cosa qui cominciamo a raccontarla nelle scuole, oltre all'educazione all'affettività. La tratta degli esseri umani è un sistema criminale che si nutre di una domanda. Se ci sono ragazze minori nigeriane o bulgare in strada o in appartamenti, è perché c'è una domanda di sesso in strada dei maschi italiani, e europei. È chiaro che nel mondo si generano intere filiere. La Turchia in questo momento ha assegnato il compito di rimpatriare gli afghani, ci ricordiamo ancora le immagini degli afgani appesi agli aeroplani, che hanno preferito spiaccicarsi per terra che tornare sotto i talebani. Un pezzo della schiavitù sessuale verso il mondo saudita è afghano: quello verso l'Afghanistan è un rimpatrio che si ferma negli Emirati Arabi. È un tema che non c'è soltanto qui, tocca la complessità di un sistema che fa paura. Tra vent'anni scopriremo le fosse comuni in Tunisia, che sta progressivamente svuotando la Libia lautamente pagata dai sauditi. Chi ha costruito gli stadi in Qatar, al ritmo di quattro morti al giorno, era forse qatariota? No, erano schiavi del mondo musulmano, prevalentemente del mondo arabo. Stiamo costruendo imperi economici sempre più stretti, sull'ingigantimento della povertà materiale e culturale».

È poi Azmi Jarjawi a parlare di esternalizzazione delle detenzioni, dell'attenzione mediatica sugli arrivi via mare da bloccare per propaganda, mentre sembra importare poco di chi arriva via terra: «Chi governa dice: se non li vediamo non ci sono. E allora sei tranquillo. Hai detto ai cittadini, a una parte dei cittadini, che non li fai entrare. Dopodiché i costi dell'impiego delle forze dell'ordine, del rimpatrio, della sorveglianza sono altissimi».

A spiegare a cosa nel sistema di accoglienza e di integrazione non ha funzionato per tantissimo tempo, tra assurdità e controsensi, è Shady Alizadeh: «Siamo stati il primo Paese sanzionato dall'Europa, dopo aver soccorso in mare, curato e assistito queste persone le riportavamo in Libia, in carceri pagate dall'Europa che si ritiene all'avanguardia nei diritti umani, e che finanziavano Gheddafi. Abbiamo avuto per venticinque anni una distortura completa, accettato come normale quello che non lo è. Se puoi lavorare esisti, altrimenti non sei nulla. E quando veniamo capitalizzati non come essere umani ma come macchine in una catena di montaggio, abbiamo deumanizzato la società civile».