Le orecchiette di Bari vecchia finiscono sul New York Times, un'inchiesta sul "crimine della pasta"
Il famoso quotidiano americano ha fatto un viaggio per le strade borgo antico per indagare sul caso che fa discutere l'opinione pubblica
martedì 10 dicembre 2019
13.04
Buone, genuine, fatte in casa e simbolo di una tradizione secolare da una parte, prive di certificati di tracciabilità e senza fatturazione, quindi illegali, dall'altra. Il caso delle orecchiette di Bari vecchia finisce sul famoso quotidiano americano The New York Times. Nel suo pezzo il giornalista Jason Horowitz dedica una vera e propria inchiesta allo "scandalo" (lo chiama "A crime of pasta", il crimine della pasta nel suo articolo) che ha infiammato l'opinione pubblica barese.
Nell'autunno in corso è scoppiato il caso di un ristorante del centro cittadino sanzionato dalla guardia di finanza perché trovato in possesso delle rinomate orecchiette prodotte a mano dalle massaie del borgo antico, squisite ma purtroppo in contraddizione con i termini di legge, che prevedono la somministrazione di prodotti certificati e certificabili all'interno delle attività di ristorazione.
Nel suo viaggio a Bari vecchia Horowitz dedica un focus all'Arco basso e alla produzione artigianale della tipica pasta barese, che in molti casi rappresenta la principale fonte di reddito per le "grandmothers" (le nonne, come si legge nell'articolo) e le loro famiglie. Le signore di Bari vecchia si alzano presto la mattina, tirano fuori mattarello, acqua e farina e iniziano a produrre la massa da cui si ricava il prelibato taglio di pasta.
Un cortocircuito, quello legge-tradizione-marketing territoriale, che il NYT non ha mancato di sottolineare, ricordando non solo come l'enogastronomia tradizionale barese sia diventata una potente attrazione per i turisti di tutto il mondo, ma anche e soprattutto come rinomati marchi del calibro di Dolce&Gabbana abbiano scelto nel recente passato proprio Bari vecchia e la produzione di orecchiette e cavatelli per le loro campagne pubblicitarie.
«Qui è sempre tutto fresco. Se nessuno le compra ce le mangiamo noi», ha detto una delle massaie a Horowitz, che nel suo articolo racconta al pubblico statunitense il caratteristico modo di vivere del centro storico di Bari, fra panni stesi ad asciugare al sole, gente che spazza le strade "armata" di scopa e secchio, e le immancabili orecchiette a fare da cornice al via vai di turisti e baresi per le strade del borgo antico.
«La gente del posto si chiede se l'improvviso zelo italiano per le regole, che in molti casi vengono ignorate, condurrà a una sopraffazione dell'orgoglio locale che ha portato a Bari tanti turisti e molta buona stampa», si legge nel pezzo di Horowitz, che riporta anche i timori delle "nonne" in merito al loro commercio di pasta, nonostante le rassicurazioni verbali del sindaco Antonio Decaro. Una domanda, certo posta non senza qualche stereotipo (la legge spesso ignorata, per esempio) che assilla anche l'opinione pubblica barese: è giusto sacrificare la tradizione e la bontà di un prodotto genuino, una calamita per turisti e avventori stranieri, sul freddo altare della legge? Ognuno si fabbrichi la propria verità.
Nell'autunno in corso è scoppiato il caso di un ristorante del centro cittadino sanzionato dalla guardia di finanza perché trovato in possesso delle rinomate orecchiette prodotte a mano dalle massaie del borgo antico, squisite ma purtroppo in contraddizione con i termini di legge, che prevedono la somministrazione di prodotti certificati e certificabili all'interno delle attività di ristorazione.
Nel suo viaggio a Bari vecchia Horowitz dedica un focus all'Arco basso e alla produzione artigianale della tipica pasta barese, che in molti casi rappresenta la principale fonte di reddito per le "grandmothers" (le nonne, come si legge nell'articolo) e le loro famiglie. Le signore di Bari vecchia si alzano presto la mattina, tirano fuori mattarello, acqua e farina e iniziano a produrre la massa da cui si ricava il prelibato taglio di pasta.
Un cortocircuito, quello legge-tradizione-marketing territoriale, che il NYT non ha mancato di sottolineare, ricordando non solo come l'enogastronomia tradizionale barese sia diventata una potente attrazione per i turisti di tutto il mondo, ma anche e soprattutto come rinomati marchi del calibro di Dolce&Gabbana abbiano scelto nel recente passato proprio Bari vecchia e la produzione di orecchiette e cavatelli per le loro campagne pubblicitarie.
«Qui è sempre tutto fresco. Se nessuno le compra ce le mangiamo noi», ha detto una delle massaie a Horowitz, che nel suo articolo racconta al pubblico statunitense il caratteristico modo di vivere del centro storico di Bari, fra panni stesi ad asciugare al sole, gente che spazza le strade "armata" di scopa e secchio, e le immancabili orecchiette a fare da cornice al via vai di turisti e baresi per le strade del borgo antico.
«La gente del posto si chiede se l'improvviso zelo italiano per le regole, che in molti casi vengono ignorate, condurrà a una sopraffazione dell'orgoglio locale che ha portato a Bari tanti turisti e molta buona stampa», si legge nel pezzo di Horowitz, che riporta anche i timori delle "nonne" in merito al loro commercio di pasta, nonostante le rassicurazioni verbali del sindaco Antonio Decaro. Una domanda, certo posta non senza qualche stereotipo (la legge spesso ignorata, per esempio) che assilla anche l'opinione pubblica barese: è giusto sacrificare la tradizione e la bontà di un prodotto genuino, una calamita per turisti e avventori stranieri, sul freddo altare della legge? Ognuno si fabbrichi la propria verità.