Omicidio Lopez, l'arma presa su Telegram. Il gip: «Lavopa può reiterare il reato»
Sul 21enne il giudice ha riconosciuto una «particolare inclinazione a delinquere» e l'inserimento «in più ampi contesti criminali»
venerdì 27 settembre 2024
5.34
«Le modalità dell'agguato sono evocative della forza di intimidazione che promana da soggetti appartenenti a gruppi mafiosi, essendo il fatto stato commesso con modalità platealmente violente e cruente, con un'assoluta noncuranza da parte degli autori rispetto al rischio di essere notati dai numerosissimi testimoni».
È uno dei passaggi centrali del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Francesco Vittorio Rinaldi, nell'ordinanza nei confronti di Michele Lavopa, il 21enne accusato di aver ucciso la 19enne Antonia Lopez nel Bahia Beach di Molfetta. Il gip ha convalidato il fermo di Lavopa considerando «concreto» il pericolo di fuga e di reiterazione del reato «alla luce della pericolosità sociale, della spregiudicatezza, della pervicacia, della sua indifferenza e della gravità delle azioni».
Quella sera Lavopa avrebbe esploso sette colpi di una pistola calibro 7.65, uccidendo Lopez e ferendo quattro ragazzi, fra cui Eugenio Palermiti, il vero bersaglio: «Ho sparato io alla ragazza deceduta, ma non volevo colpire lei», ha detto Lavopa. L'intento sarebbe stato quello di uccidere Palermiti «non riuscendo per cause indipendenti dalla sua volontà». Il 21enne avrebbe spiegato che si era recato in discoteca portando con sé una pistola «per difendersi da eventuali aggressioni».
Una volta arrivati al locale, si sono sistemati vicino alla rampa che porta ai tavoli, mentre Lavopa, dopo aver visto Palermiti, avrebbe deciso di spostarsi altrove. Ma il 21enne avrebbe subito minacce (una versione smentita dall'amica di Antonella, secondo cui «non c'è stato un litigio») da parte della comitiva del nipote del boss di Japigia con quest'ultimo che avrebbe tentato di estrarre un'arma («Questo mi vuole fare», ha raccontato di avere pensato) e scatenando la sua reazione.
Poi Lavopa, tenendo il braccio piegato, avrebbe impugnato l'arma, «comprata da un contatto su Telegram» ed esploso i colpi. L'amica di Antonella ha raccontato: «Ho sentito gli spari, ho perso Antonella. L'ho trovata a faccia in giù: aveva gli occhi aperti e non parlava». Il 21enne sarebbe invece tornato al San Paolo: da qui, con un'auto e due suoi amici (indagati per favoreggiamento), si sarebbero recati a Bitonto, dove avrebbero nascosto l'arma, poi recuperata a casa di un 17enne.
Secondo il gip il 21enne, che ha dimostrato una «particolare inclinazione a delinquere», una «personalità avulsa dalle regole della convivenza civile», l'inserimento «in più ampi circuiti criminali» - il compagno della madre, Luca Lanave, è legato al clan Strisciuglio -, oltre ad una «indole violenta» e una «spavalda ostentazione del possesso della pistola», avrebbe sparato con «spregiudicatezza e noncuranza delle condizioni d'affollamento del locale, in cui c'erano centinaia di persone».
Avrebbe agito «a volto scoperto, nella consapevolezza che nessuno avrebbe reso dichiarazioni» agli inquirenti a causa della condizione «di assoggettamento e di omertà derivanti dal potere di intimidazione mafiosa, nonché di agevolare il sodalizio del San Paolo, affermandone la supremazia». Il gip ha riconosciuto anche l'aggravante mafiosa considerando che lo stesso Lavopa ha riferito di essere entrato armato, in discoteca, perché «nell'ultimo periodo non si sta più tranquilli».
Parole che, per il gip «appaiono evocative dell'esistenza di gruppi, corrispondenti ai vari sodalizi criminali, alla cui guida si sono posti i più giovani esponenti delle famiglie di riferimento e che hanno individuato il luogo dove fronteggiarsi, armati, per dimostrare le capacità criminali e affermare il loro predominio criminale».
È uno dei passaggi centrali del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Francesco Vittorio Rinaldi, nell'ordinanza nei confronti di Michele Lavopa, il 21enne accusato di aver ucciso la 19enne Antonia Lopez nel Bahia Beach di Molfetta. Il gip ha convalidato il fermo di Lavopa considerando «concreto» il pericolo di fuga e di reiterazione del reato «alla luce della pericolosità sociale, della spregiudicatezza, della pervicacia, della sua indifferenza e della gravità delle azioni».
Quella sera Lavopa avrebbe esploso sette colpi di una pistola calibro 7.65, uccidendo Lopez e ferendo quattro ragazzi, fra cui Eugenio Palermiti, il vero bersaglio: «Ho sparato io alla ragazza deceduta, ma non volevo colpire lei», ha detto Lavopa. L'intento sarebbe stato quello di uccidere Palermiti «non riuscendo per cause indipendenti dalla sua volontà». Il 21enne avrebbe spiegato che si era recato in discoteca portando con sé una pistola «per difendersi da eventuali aggressioni».
Una volta arrivati al locale, si sono sistemati vicino alla rampa che porta ai tavoli, mentre Lavopa, dopo aver visto Palermiti, avrebbe deciso di spostarsi altrove. Ma il 21enne avrebbe subito minacce (una versione smentita dall'amica di Antonella, secondo cui «non c'è stato un litigio») da parte della comitiva del nipote del boss di Japigia con quest'ultimo che avrebbe tentato di estrarre un'arma («Questo mi vuole fare», ha raccontato di avere pensato) e scatenando la sua reazione.
Poi Lavopa, tenendo il braccio piegato, avrebbe impugnato l'arma, «comprata da un contatto su Telegram» ed esploso i colpi. L'amica di Antonella ha raccontato: «Ho sentito gli spari, ho perso Antonella. L'ho trovata a faccia in giù: aveva gli occhi aperti e non parlava». Il 21enne sarebbe invece tornato al San Paolo: da qui, con un'auto e due suoi amici (indagati per favoreggiamento), si sarebbero recati a Bitonto, dove avrebbero nascosto l'arma, poi recuperata a casa di un 17enne.
Secondo il gip il 21enne, che ha dimostrato una «particolare inclinazione a delinquere», una «personalità avulsa dalle regole della convivenza civile», l'inserimento «in più ampi circuiti criminali» - il compagno della madre, Luca Lanave, è legato al clan Strisciuglio -, oltre ad una «indole violenta» e una «spavalda ostentazione del possesso della pistola», avrebbe sparato con «spregiudicatezza e noncuranza delle condizioni d'affollamento del locale, in cui c'erano centinaia di persone».
Avrebbe agito «a volto scoperto, nella consapevolezza che nessuno avrebbe reso dichiarazioni» agli inquirenti a causa della condizione «di assoggettamento e di omertà derivanti dal potere di intimidazione mafiosa, nonché di agevolare il sodalizio del San Paolo, affermandone la supremazia». Il gip ha riconosciuto anche l'aggravante mafiosa considerando che lo stesso Lavopa ha riferito di essere entrato armato, in discoteca, perché «nell'ultimo periodo non si sta più tranquilli».
Parole che, per il gip «appaiono evocative dell'esistenza di gruppi, corrispondenti ai vari sodalizi criminali, alla cui guida si sono posti i più giovani esponenti delle famiglie di riferimento e che hanno individuato il luogo dove fronteggiarsi, armati, per dimostrare le capacità criminali e affermare il loro predominio criminale».