Punta Perotti, Comune di Bari e Regione Puglia condannati a risarcire costruttori
La Corte d'Appello ha però considerevolmente ridotto il pagamento: dai 540 milioni richiesti a 8,7
lunedì 12 settembre 2022
16.57
La Corte d'Appello di Bari (terza sezione civile) ha condannato Ministero della Cultura, Regione Puglia e Comune di Bari, in solido tra loro, a risarcire di quasi 8,7 milioni di euro (più rivalutazione in base agli indici Istat dal 2001 ad oggi) alla società Sudfondi srl in liquidazione, di proprietà della famiglia Matarrese, per il danno patrimoniale subito dall'abbattimento - avvenuto nel 2006 - dei palazzi di Punta Perotti, sul lungomare di Bari.
I giudici hanno, però, solo parzialmente accolto il ricorso della società, che aveva impugnato la sentenza con la quale il Tribunale di Bari, nel 2014, aveva rigettato la domanda dei costruttori.
In una nota del Comune di Bari si legge: «La sentenza, molto articolata e corposa, è in fase di esame da parte del collegio difensivo del Comune di Bari. Preme tuttavia far presente che la Corte d'Appello ha enormemente ridimensionato la richiesta della società costruttrice che ammontava a circa 540 milioni di euro. La Corte ha, inoltre, respinto la maggioranza delle richieste avanzate dalla SudFondi, accogliendo solo una parte della domanda, limitando il danno risarcibile a poco più di 8 milioni euro, oltre interessi. La condanna - così limitata - è nei confronti in solido del Ministero dei Beni Culturali, della Regione Puglia e del Comune per atti amministrativi, adottati agli inizi degli anni '90. All'esito dell'esame della sentenza, il Comune valuterà l'eventuale impugnazione del provvedimento, il cui limitato esito negativo è ampiamente coperto dai fondi rischi appostati da questa amministrazione nel proprio bilancio».
Il sindaco Antonio Decaro dichiara: «Nella fattispecie è bene chiarire che il Comune di Bari oggi è chiamato a farsi carico di responsabilità ascrivibili all'epoca in cui vennero rilasciati i titoli edilizi, risalenti agli anni '90. La sentenza chiarisce però inequivocabilmente che la richieste esorbitanti proposte dalla società costruttrice erano infondate per il 98%. Sarebbero infatti dovuti solo 8 milioni rispetto ai 540 milioni richiesti».
Michele Emiliano, attuale presidente della Regione Puglia e sindaco di Bari nel 2006 (all'epoca dei fatti), fa eco: «Nessun dubbio sulla demolizione di Punta Perotti. La sentenza della Corte d'Appello di Bari ha condannato gli enti convenuti in giudizio (Comune, Regione e Ministero) per aver consentito agli inizi degli anni '90 la realizzazione di Punta Perotti e non certo per aver disposto l'abbattimento. Quindi parliamo di responsabilità amministrative risalenti nel tempo. Infatti, la Corte territoriale ha ritenuto che all'epoca della adozione (1990) e della approvazione (1992) delle due lottizzazioni e relativo rilascio della concessione edilizia (1994) il Comune non potesse farlo, perché lì non si poteva costruire, per la presenza dei vincoli di inedificabilità previsti dalla normativa regionale e statale vigente. Quindi i piani di lottizzazione non erano legittimi, perché privi della necessaria autorizzazione paesaggistica. La Corte d'Appello ha ritenuto responsabili anche la Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali (organo periferico del Ministero) e la Regione, per aver consentito il rilascio della concessione edilizia. Finalmente una parola chiara e, spero, definitiva sulle responsabilità politiche e amministrative di questa vicenda».
L'inizio della vicenda porta data 1995, a quando risale l'inizio dei lavori di lottizzazione - successivamente ritenuta abusiva. Per questa accusa, gli imprenditori furono tutti assolti nel 2001, poiché avevano ottenuto una regolare autorizzazione edilizia prima di far partire i lavori. Gli scheletri dei palazzi (che i baresi ricordano come "ecomostro" di Punta Perotti) furono comunque confiscati e abbattuti nel 2006. Un procedimento, quello della confisca, che era già stato dichiarato illegittimo dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, tribunale internazionale ha riconosciuto un risarcimento complessivo di 49 milioni di euro (37 alla sola Sud Fondi), già liquidati, per il mancato godimento dei suoli negli anni della confisca, dal 2001 al 2010.
Come sottolinea l'agenzia di stampa Ansa, l'odierna sentenza, secondo quanto sollecitato dalla società, riconosce che il risarcimento stabilito dalla Cedu non copriva tutti i danni, riguardando unicamente la illegittimità della confisca e non l'accertamento della responsabilità in capo alle amministrazioni che avevano rilasciato le concessioni edilizie e autorizzazioni che avevano dato il via libera ai cantieri, e quindi dispone un ulteriore il ristoro per le spese sostenute per la progettazione, i costi pubblicitari, i pagamenti di Ici e oneri di urbanizzazione, gli oneri finanziari e parte dei costi di esecuzione dei lavori.
I giudici hanno, però, solo parzialmente accolto il ricorso della società, che aveva impugnato la sentenza con la quale il Tribunale di Bari, nel 2014, aveva rigettato la domanda dei costruttori.
In una nota del Comune di Bari si legge: «La sentenza, molto articolata e corposa, è in fase di esame da parte del collegio difensivo del Comune di Bari. Preme tuttavia far presente che la Corte d'Appello ha enormemente ridimensionato la richiesta della società costruttrice che ammontava a circa 540 milioni di euro. La Corte ha, inoltre, respinto la maggioranza delle richieste avanzate dalla SudFondi, accogliendo solo una parte della domanda, limitando il danno risarcibile a poco più di 8 milioni euro, oltre interessi. La condanna - così limitata - è nei confronti in solido del Ministero dei Beni Culturali, della Regione Puglia e del Comune per atti amministrativi, adottati agli inizi degli anni '90. All'esito dell'esame della sentenza, il Comune valuterà l'eventuale impugnazione del provvedimento, il cui limitato esito negativo è ampiamente coperto dai fondi rischi appostati da questa amministrazione nel proprio bilancio».
Il sindaco Antonio Decaro dichiara: «Nella fattispecie è bene chiarire che il Comune di Bari oggi è chiamato a farsi carico di responsabilità ascrivibili all'epoca in cui vennero rilasciati i titoli edilizi, risalenti agli anni '90. La sentenza chiarisce però inequivocabilmente che la richieste esorbitanti proposte dalla società costruttrice erano infondate per il 98%. Sarebbero infatti dovuti solo 8 milioni rispetto ai 540 milioni richiesti».
Michele Emiliano, attuale presidente della Regione Puglia e sindaco di Bari nel 2006 (all'epoca dei fatti), fa eco: «Nessun dubbio sulla demolizione di Punta Perotti. La sentenza della Corte d'Appello di Bari ha condannato gli enti convenuti in giudizio (Comune, Regione e Ministero) per aver consentito agli inizi degli anni '90 la realizzazione di Punta Perotti e non certo per aver disposto l'abbattimento. Quindi parliamo di responsabilità amministrative risalenti nel tempo. Infatti, la Corte territoriale ha ritenuto che all'epoca della adozione (1990) e della approvazione (1992) delle due lottizzazioni e relativo rilascio della concessione edilizia (1994) il Comune non potesse farlo, perché lì non si poteva costruire, per la presenza dei vincoli di inedificabilità previsti dalla normativa regionale e statale vigente. Quindi i piani di lottizzazione non erano legittimi, perché privi della necessaria autorizzazione paesaggistica. La Corte d'Appello ha ritenuto responsabili anche la Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali (organo periferico del Ministero) e la Regione, per aver consentito il rilascio della concessione edilizia. Finalmente una parola chiara e, spero, definitiva sulle responsabilità politiche e amministrative di questa vicenda».
L'inizio della vicenda porta data 1995, a quando risale l'inizio dei lavori di lottizzazione - successivamente ritenuta abusiva. Per questa accusa, gli imprenditori furono tutti assolti nel 2001, poiché avevano ottenuto una regolare autorizzazione edilizia prima di far partire i lavori. Gli scheletri dei palazzi (che i baresi ricordano come "ecomostro" di Punta Perotti) furono comunque confiscati e abbattuti nel 2006. Un procedimento, quello della confisca, che era già stato dichiarato illegittimo dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, tribunale internazionale ha riconosciuto un risarcimento complessivo di 49 milioni di euro (37 alla sola Sud Fondi), già liquidati, per il mancato godimento dei suoli negli anni della confisca, dal 2001 al 2010.
Come sottolinea l'agenzia di stampa Ansa, l'odierna sentenza, secondo quanto sollecitato dalla società, riconosce che il risarcimento stabilito dalla Cedu non copriva tutti i danni, riguardando unicamente la illegittimità della confisca e non l'accertamento della responsabilità in capo alle amministrazioni che avevano rilasciato le concessioni edilizie e autorizzazioni che avevano dato il via libera ai cantieri, e quindi dispone un ulteriore il ristoro per le spese sostenute per la progettazione, i costi pubblicitari, i pagamenti di Ici e oneri di urbanizzazione, gli oneri finanziari e parte dei costi di esecuzione dei lavori.