Susanna Camusso all’Università di Bari: «CGIL lotta contro emarginazione del lavoratore»

Il segretario della CGIL a Giurisprudenza: «Giovani vessati da politiche liberiste. Fondamentale ruolo dell’istruzione»

giovedì 18 gennaio 2018 16.53
A cura di Riccardo Resta
Giovani e lavoro, precariato occupazionale ed esistenziale: questi sono solo alcuni dei temi trattati stamattina presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Bari nel convegno, organizzato da CGIL Puglia, dal titolo "Giovani, Formazione e Buona Occupazione. Un Presente di Diritti Contro Precariato e Povertà da Lavoro". A trarre le conclusioni della mattinata di discussione è stato il segretario generale della CGIL Susanna Camusso, intervenuta nelle aule del plesso universitario.

Un dibattito acceso che ha visto la partecipazione di oltre settecento persone, soprattutto giovani lavoratori precari o studenti cui il mondo del lavoro non offre alcuna prospettiva una volta finita l'università. Un disagio figlio di anni di politiche liberiste o pseudo tali che, come sottolinea la stessa Camusso, «Hanno raccontato che i giovani del futuro non avrebbero avuto il lavoro come obiettivo. Una pretesa, invece, smentita dai fatti, poiché i giovani vorrebbero poter scegliere il loro lavoro, mettendo a frutto le conoscenze maturate in anni di studio».

In questo mare burrascoso, in cui i diritti dei tanti giovani sfruttati, malpagati o addirittura non pagati (e sono tanti gli esempi tra quelli alternatisi al microfono questa mattina) affogano sommersi dal feticcio pagano della digitalizzazione, anche l'istituzione sindacato deve assumere nuove forme, senza dimenticare il suo ruolo a sostegno del lavoratore. «Non ho mai messo in discussione il ruolo della CGIL e dei sindacati in generale – dice il governatore della Regione Puglia Michele Emiliano nel suo intervento -, che i governi e gli enti pubblici tendono invece a considerare come un mero organo consultivo. Per me le organizzazioni sindacali sono parte attiva delle trattative e il loro non dev'essere un parere ma un vincolo, come lo è stato per me ad esempio nella vertenza ILVA, pur avendo spesso un punto di vista diverso».

Ecco, quindi, che la sfida del sindacato si fa ancor più ardua: restituire speranza ai giovani lavoratori e ai loro genitori, egualmente vilipesi dalle miopi politiche "del fare" a tutti i costi, culminate con i disastri del job's act. «Le conseguenze di quella legge – specifica il segretario generale della CGIL - sono state principalmente due: da un lato ridurre le tutele ai lavoratori, mettendoli in contrapposizione tra di loro invece che fornire la condizione solidale che è fondamentale per la difesa dei diritti. Dall'altro, sono stati spesi circa 20 miliardi in incentivi alle imprese che hanno prodotto una gigantesca bolla "a tempo determinato" e di lavoro che si svolge nel giro di pochi giorni. Quando si pensa che per intervenire sul lavoro si debba rimuovere le tutele, in realtà si squalifica il Paese. Bisogna, invece, investire sulla qualità del lavoro, un'operazione che noi stiamo provando a fare con il rinnovo dei contratti pubblici che per lungo tempo sono stati accantonati. È necessario abbandonare la logica del job's act, che voleva il lavoratore solo ed emarginato. Chi lavora e chi vuole iniziare a lavorare ha bisogno di tutele vecchie e nuove, ed è necessario sviluppare ulteriori forme di protagonismo e partecipazione. Questo è il compito, oggi come ieri, dell'organizzazione collettiva che chiamiamo sindacato».

«Qualche tempo fa – continua Camusso – abbiamo lanciato il piano straordinario per l'occupazione giovanile e femminile, perché pensiamo che questi siano i due elementi di maggiore criticità sul mercato del lavoro in Italia. A questo tema vanno dedicate delle risorse, oltre che indicarlo come priorità nei discorsi elettorali. Non esistono solo le scelte delle imprese, ma esiste anche un Paese che può decidere di dare delle risposte al mondo del lavoro. Giusto per fare un esempio, stiamo parlando del Paese con il maggior numero di beni storici e naturali tutelati dall'Unesco, e per secoli abbiamo insegnato agli altri come restaurare un'opera d'arte, mentre ora chiamiamo restauratori esteri per lavorare sul nostro patrimonio artistico. È un dovere dello Stato trovare delle risorse per l'occupazione giovanile, magari attingendo ai fondi costantemente usati per l'emergenza invece che per una manutenzione costante del territorio, che certamente costerebbe molto di meno e innalzerebbe di gran lunga il livello di sicurezza. Le risorse si possono con una distribuzione più equa del reddito: noi abbiamo un fisco paradossale, in cui chi ha tanto paga poco e chi ha poco paga tanto. Debito pubblico, deficit e altolà dall'Europa sono certamente cose vere, ma molto più determinanti sono state le scelte politiche sbagliate che hanno portato a delle distorsioni che oggi rendono difficile investire nell'occupazione dei giovani».

Ecco, quindi, che fondamentale diventa il ruolo della formazione e, quindi, dell'ente università che spesso soffre di odiose sperequazioni tra Nord e Sud, in un'eterna "questione meridionale" che non trova soluzione. Ancora Camusso: «L'Italia ha rinunciato a investire sulla sua capacità di crescita, diventando sempre più dipendente dalla ricerca degli altri, pur avendo delle straordinarie potenzialità. Quando diciamo che bisogna tornare ad avere un'idea che unisca piano del lavoro e capacità d'innovazione pensiamo proprio al bisogno di ricominciare a muovere la ricerca e lo sviluppo tecnologico, obiettivi che vanno perseguiti in maniera pubblica dare nuovo impulso al territorio e leggerne i bisogni. Su questo, naturalmente, incide il modo con cui si utilizzano le risorse già esistenti: il Fondo Universitario, per esempio, non favorisce la crescita dell'università ma premia chi già non ha problemi, sottraendo risorse a tutti gli altri. Un problema che continua a generare diseguaglianza tra Nord e Sud del Paese. Se qualcuno, come sembrerebbe da questa campagna elettorale, pensa che possa esistere un Nord che viaggia da solo mentre il Sud diventa soltanto luogo di consumi sta in realtà pensando di scavare la fossa all'intero Paese. Affrontare il tema del piano straordinario del lavoro significa affrontare di pari passo anche il tema dell'eliminazione delle diseguaglianze in Italia».

«Siamo orgogliosi – conclude Camusso – di essere stati noi della CGIL a presentare al Governo il problema delle università "Aldo Moro" di Bari e "Federico II" di Napoli nel momento in cui s'individuavano solo atenei settentrionali per lo sviluppo piano dell'industria 4.0. Con questo intervento abbiamo voluto segnalare che non si può parlare d'innovazione e sviluppo solo in alcune zone senza tenere conto delle necessità di tutta l'Italia e del suo sistema universitario. C'è bisogno d'innalzare l'età dell'istruzione obbligatoria garantendone la gratuità, ed è altresì indispensabile far crescere il numero dei laureati in Italia con politiche di diritto allo studio che siano a fuoco. Il vero tema (riguardo alla proposta di Pietro Grasso di abolire le tasse universitarie, NdR) è il finanziamento pubblico: più si chiede alle università di vivere con quello che arriva dalla tassazione agli studenti, più si preclude a tanti potenziali universitari di partecipare. Quella degli atenei è tornata a essere una "popolazione di censo", e questa è una privazione di risorse che per l'Italia sono di straordinaria importanza e che invece vanno perse. Alla necessità, spesso negata da alcuni, di innalzare il numero dei laureati bisogna far corrispondere l'eliminazione della prospettiva del lavoro gratuito una volta usciti dall'università: tirocini e stage sono forme d'impiego vero e proprio per cui chi le esercita non percepisce retribuzione e non ha alcuna stabilità. L'università non può essere un luogo che forma un lavoratore da mettere in determinato posto senza poterlo muovere, ma deve al contrario garantire innovazione e competenze che s'intrecciano nella creazione del sapere critico del cittadino. La formazione continua, invece, è compito che devono iniziare ad assumersi le imprese».
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