«Vivo in un Paese in cui non posso più realizzare il mio sogno»

Scuole di danza nuovamente chiuse dal nuovo DPCM

mercoledì 28 ottobre 2020 18.08
A cura di Ida Vinella
Chiuse dal primo lockdown di marzo, riaperte tra mille incertezze, le scuole di danza sono state nuovamente costrette alla chiusura forzata dopo il nuovo DPCM, insieme a palestre, piscine e luoghi di benessere fisico (e mentale).

Probabilmente sono situazioni che in tanti trascurano, ignorano, sottovalutano, ma questi spazi rappresentano non solo delle attività imprenditoriali che devono affrontare senza tutele un nuovo, corposo periodo di chiusura, ma anche un luogo di evasione, di libertà espressiva, di crescita personale per chi sogna di lavorare nel mondo della danza. Magari tra tante tragedie, queste passioni potrebbero sembrare di scarsa importanza... Ma per altri significano sogni, lavoro, vita.

Silvana, giovane barese con la passione per la danza e il desiderio di affermarsi lavorativamente in questo settore, ha lanciato uno sfogo che emblematicamente racconta la stessa storia di tanti ragazzi a cui questa situazione sta impedendo di inseguire i propri sogni. Con la vera speranza che l'emergenza Covid-19 sia solo una breve parentesi nelle nostre esistenze.

«Vivo in un Paese in cui non posso più realizzare il mio sogno. Il mio Paese sta cercando di cancellare il mio sogno, di annullarlo e annullare me con lui.
Oggi farò videolezione da casa, in uno spazio di appena 5 metri quadri, accanto al tavolo, la TV e due divani, i miei cari compagni di danza. E questo lo farò oggi, domani, dopodomani e tutti i giorni fino al 24 Novembre, pur sperando che il periodo di reclusione non venga prolungato.
Ma cosa mi rimane della danza? Da settembre ero tornata in sala con una fortissima determinazione a voler migliorare più di quanto non avessi mai fatto. In due mesi ho visto i miei piccoli progressi. Per due mesi ho imparato a fare cose meravigliose. Sbattuta 6 giorni su 7 da casa a scuola di danza e non mi lamentavo, anzi ringraziavo chi me lo permetteva: i miei genitori, i miei insegnanti. C'erano volte in cui anche quel settimo giorno veniva impiegato per allenarsi un po' di più. Due mesi di lavoro e sacrifici. Io non posso piú fare le pirouette, non posso più fare un grand jetté, non posso più fare le capriole o altri movimenti esagerati perché altrimenti andrei a sbattere contro i miei cari compagni di "danza" già suddetti.
Io non posso allenarmi.
Io non posso sognare.
Io non posso lavorare.
E non mi criticate se ogni giorno che passa il mio unico desiderio è quello di scappare via, il più lontano possibile. Voglio vivere in un posto che non cerca di cancellare i miei sogni, ma li coltiva, e questo in Italia non accade.
Vergognatevi non solo per aver ritenuto il mio sogno e il mio lavoro NON ESSENZIALE, ma anche per averlo ANNULLATO.
Io continuerò a combattere».