Catanzaro-Bari ultimo atto: lo sport "resta a casa" contro il Covid19

Il decreto del Governo impone lo stop ai campionati in tutte le discipline. Una scelta di responsabilità che finalmente arriva

martedì 10 marzo 2020 2.18
A cura di Riccardo Resta
Lo sport italiano "resta a casa" come misura di contrasto alla diffusione dell'epidemia di Coronavirus. Il Dpcm con cui il Governo nella notte ha istituito un'unica zona protetta su tutto il territorio nazionale per porre un argine alla propagazione del Covid19 impone lo stop almeno fino al 3 aprile di tutte le manifestazioni sportive, dilettantistiche o professionistiche che siano. La partita Catanzaro-Bari di ieri sera, finita 1-1, di fatto resta l'ultimo atto (insieme a Chievo-Cosenza 2-0) prima del blocco forzoso dei campionati sportivi.

Parlare di calcio, in una situazione di emergenza sanitaria come quella attuale, è complicato. Resta, comunque, la platonica soddisfazione di aver visto una bella partita, trasmessa in chiaro dalla tv di Stato, prima di questa apnea di tre settimane, come minimo. Un'ultima gara divertente e spettacolare, ben giocata da entrambe le squadre, seppur nella gelida atmosfera dello stadio Ceravolo a porte chiuse, più inquietante di un quadro di pittura metafisica.

Ora, però, basta. La decisione di buon senso alla fine è arrivata, anche se con ritardo: la cronaca sportiva delle ultime settimane ci ha restituito una fotografia sconsolante della politica sportiva italiana. Polemiche, accuse, dietrologie: arrivare a una decisione univoca è stato un percorso tortuoso in mezzo a sospetti e insinuazioni, schiacciati fra l'incudine del dovere tutelare la salute pubblica e il martello degli interessi economici (un plauso a Eleven Sports, che ha trasmesso gratuitamente le partite dell'ultimo turno di C, e lo avrebbe rifatto fino al 3 aprile). Porte chiuse sì, porte chiuse no; rinvii, posposizioni, tentativi di prendere tempo davanti a una situazione che stava precipitando, con pericolo per tutti, non ultimi gli atleti stessi.

Ieri pomeriggio l'ultimatum del Coni, forse un'altra accelerata verso il provvedimento adottato dall'esecutivo, estremo ma ormai non più derogabile davanti a una situazione molto grave. Ci è voluto, però, un altro weekend di polemiche per arrivare alla soluzione più ovvia: i 75 minuti di ritardo con cui è iniziata Parma-Spal domenica scorsa sono lo specchio della confusione con cui la politica del calcio ha gestito una situazione in caduta libera. Davanti a un decreto esecutivo (quello dell'8 marzo) che confermava la regolarità delle partite a porte chiuse, il ministro dello Sport Spadafora (che ha partecipato a quel Cdm) ha avanzato perplessità (pur giuste, beninteso) sulla disputa della serie A quando ormai le due squadre erano già nel tunnel degli spogliatoi, pronte al calcio d'inizio di una giornata sportiva già di per sé surreale, "riscaldata" dalla minaccia di sciopero di Assocalciatori.

Ognuno, insomma, ha provato a regolarsi a modo suo: in serie B partite annullate con gli spettatori già sulle tribune, in serie A alcuni a porte chiuse, altri a porte aperte (fu polemica dopo il via libera per i bergamaschi a Lecce), in C due gironi si sono fermati, un altro no. Basket, volley, rugby, tennis: ognuno per la sua strada. Senza contare le coppe Uefa e il campionato europeo di calcio previsto a giugno, rebus ancora tutto da decifrare.

Alla fine, però, si è scelto per il meglio. Una soluzione dolorosa ma necessaria, che ci terrà lontani dalla più grande passione popolare "per il bene superiore". Fermarsi tutti, restare a casa, permettere alla situazione di rientrare, o almeno provarci: lo sport si adegua, seppur con fatica. Si riprenderà? Ora è impossibile dirlo. Che questa pausa forzata, perlomeno, sia occasione per operare un'opportuna riflessione su quello che è accaduto.