Ecco il Bari “carro armato”. È con le ragioni del cuore che si vince
Impresa dei galletti, che battono il Sudtirol in dieci davanti ai 51.600 del San Nicola. E ora la finale
sabato 3 giugno 2023
10.53
«Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce». Inizia così il celebre aforisma 146 dei "Pensieri" dello scienziato e filosofo francese del XVII secolo Blaise Pascal. Una frase erroneamente assimilabile ai messaggi dei cioccolatini, buoni per la festa di San Valentino, ma che racchiude significati ben più profondi. Le ragioni del cuore sfuggono alla ragione nella misura in cui la ricerca disperata di senso, quella a cui è condannato chi deve vivere con il dubbio, può essere soddisfatta solo fino a un certo punto dalla freddezza del calcolo e della dimostrazione scientifica. Per il filosofo era la fede la chiave d'accesso all'inspiegabile mistero dell'essere, ma la profondità del pensiero pascaliano può trovare risvolti interessanti anche in interpretazioni più ampie.
Un esempio, molto più prosaico ma non per questo meno intenso, è la strana vicenda della SSC Bari, dei suoi calciatori e del suo condottiero. Quando Mignani ha provato a dare senso alla semifinale playoff con la calcolatrice in una mano e gli alambicchi nell'altra, le cose sono andate molto peggio di come avrebbero dovuto. La doppia sfida con il Sudtirol sta lì a dimostrarlo: quando il Bari si fa governare dallo spirito di geometria è una squadra normale, difettosa come tutte le altre. Quando, invece, a comandare è lo spirito del cuore, con le sue ragioni inspiegabili e indimostrabili, allora la musica cambia.
E solo il cielo sa quanto ne sia valsa la pena… Mignani è un bravissimo allenatore, decisamente sottovalutato rispetto ai suoi meriti, alla sua capacità e alla sua onestà; ma, a volte, una persona intelligente come il tecnico ligure deve ricordarsi che il calcio al massimo può essere una scienza probabilistica, certamente incerta. La fame di senso, di compimento, in tanti casi, va estinta tornando alle origini, all'impulso primordiale, al principio della "libido", al dionisiaco: il calcio è soprattutto istinto, sentimento, ragione del cuore.
Ecco, quindi, perché il Bari goffamente calcolatore della partita del Druso è uscito sconfitto, mentre il Bari di cuore visto al San Nicola è stato capace di ribaltare il risultato, giocando in dieci per un tempo intero. Potremmo star qui a fare tutte le disamine tattiche e tecniche di questo mondo, e comunque non centreremmo il punto: il calcio è intuizione, e per vincere servono le ragioni del cuore, quelle che rinunciano alle certezze e si abbandonano a un'idea più alta, più complessa. Ma (e i fatti lo dimostrano) vincente.
Come Pascal suggerisce, la "scommessa" del senso la si vince con la fede, non con la ragione. Quella stessa fede che fa stringere 51.600 cuori biancorossi attorno alla loro squadra del cuore, per spingerla a un'impresa che lo stesso Mignani ha definito «Epica», senza esagerare. Bari e il Bari: una relazione simbiotica, a volte anche tossica per via del troppo amore. E, accidenti, se il troppo amore sa far male; però non si può spiegare quanto sappia fare anche bene.
Il minuto è il 25' della ripresa: Botta crossa, Folorunsho fa il velo, Benedetti la scarica in rete di prima. È tutto così semplice da descrivere, ma al tempo stesso così complicato da "sentire". Diavolo, il San Nicola (questo San Nicola, vestito con l'abito migliore delle feste comandate) si meritava di tirar fuori dall'anima quell'urlo primitivo di gioia, quando la bomba di Benedetti gonfia la rete e fa emergere tutti i sedimenti di passione lasciati a macerare in un cantuccio della coscienza.
Non c'è niente da fare: il Bari a Bolzano avrebbe anche potuto prendere l'onesto pareggio (e non l'ha preso), ma per vincere e sognare ci vogliono lo spirito del cuore e le sue ragioni "irragionevoli". Non che la testa non serva, anzi. Se non sei lucido, quando rimani in dieci per una serie di sfortunati errori (Bellomo prima, Ricci poi) e sei già con l'acqua alla gola perché il tempo scorre e il risultato non si sblocca, allora le cose non le sistemi. Ma senza consegnarsi mani e piedi all'infinito, nessuna forza della ragione ti può accompagnare sulla strada dei sogni.
Mignani a Bolzano ha sbagliato la gestione e i cambi; la piazza gliel'ha fatto notare, con una pioggia di critiche durata quattro giorni. Chissà se, con altrettanto zelo, al mister verrà tributato il giusto plauso per aver, al ritorno, azzeccato tutto quello che c'era da azzeccare. I tre moschettieri confezionano il goal-partita dopo 1' dal loro ingresso, andando a concretizzare tutto il lavoro di paziente logorio ai fianchi della super coriacea squadra di Bisoli, portato avanti fin dal fischio iniziale.
Mignani sceglie Bellomo e Morachioli larghi per aprire l'ermetico schieramento avversario e consumarne le energie psicofisiche. La mossa funziona, anche quando il mister rimane in dieci e passa al 4-3-2, con Esposito e Cheddira davanti per non dare punti di riferimento agli avversari, Maita e Maiello in mezzo con il loro moto perpetuo, il gigantesco Dorval con Morachioli larghi a tutta fascia. La tattica funziona, anche perché stavolta nel frullatore finisce pure una bella dose di coraggio. Quella che ci vuole per mandare in campo nello stesso slot Botta, Folorunsho (c'è da pregare che il ginocchio regga ancora un po', troppo importante l'ex Reggina) e Benedetti, spostando in avanti il baricentro e le fonti di gioco. È una scommessa, esattamente come quella di Pascal, e Mignani stavolta la stravince.
Il suo Bari fa - finalmente - la parte del "carro armato" che aveva auspicato il diesse Ciro Polito alla vigilia dei playoff. Testa bassa e cuore nelle scarpe: senza calcoli, per non avere rimpianti. È la dimostrazione che le partite vanno giocate, senza troppi alchimismi strambi. Altrimenti anche un vantaggio (quello che spetta al Bari come terza classificata) si può trasformare in un boomerang. Vero, con altri due pareggi il Bari sarebbe in serie A, ma il doppio confronto con la scorza dura di Bisoli serve a ricordare che chi gioca per pareggiare, nel 90% dei casi alla fine perde.
Lezione imparata, quindi? Forse sì, sarà il tempo a confermare o smentire. Per il momento, c'è da sottolinearlo col rosa shocking: il Bari è in finale, si sta giocando la serie A, quando appena 12 mesi fa ci si diceva "contenti" già con una salvezza tranquilla in serie B.
Ma qui di tranquillo non c'è nulla, e va benissimo così. In 51mila e oltre si fa un bel trambusto, ed è un dolce suono. Domenica 11 giugno, per la finale di ritorno, il San Nicola sarà probabilmente sold out. Per ora c'è solo da schiacciare il naso contro lo schermo e scoprire dalla tv con chi i biancorossi incroceranno i guanti nel doppio confronto di finale. O Parma o Cagliari; in entrambi i casi si pesca malissimo. Però, adesso, il Bari ha ritrovato lo spirito del cuore: si faccia avanti il prossimo, Bari saprà farsi trovare pronta.
Un esempio, molto più prosaico ma non per questo meno intenso, è la strana vicenda della SSC Bari, dei suoi calciatori e del suo condottiero. Quando Mignani ha provato a dare senso alla semifinale playoff con la calcolatrice in una mano e gli alambicchi nell'altra, le cose sono andate molto peggio di come avrebbero dovuto. La doppia sfida con il Sudtirol sta lì a dimostrarlo: quando il Bari si fa governare dallo spirito di geometria è una squadra normale, difettosa come tutte le altre. Quando, invece, a comandare è lo spirito del cuore, con le sue ragioni inspiegabili e indimostrabili, allora la musica cambia.
E solo il cielo sa quanto ne sia valsa la pena… Mignani è un bravissimo allenatore, decisamente sottovalutato rispetto ai suoi meriti, alla sua capacità e alla sua onestà; ma, a volte, una persona intelligente come il tecnico ligure deve ricordarsi che il calcio al massimo può essere una scienza probabilistica, certamente incerta. La fame di senso, di compimento, in tanti casi, va estinta tornando alle origini, all'impulso primordiale, al principio della "libido", al dionisiaco: il calcio è soprattutto istinto, sentimento, ragione del cuore.
Ecco, quindi, perché il Bari goffamente calcolatore della partita del Druso è uscito sconfitto, mentre il Bari di cuore visto al San Nicola è stato capace di ribaltare il risultato, giocando in dieci per un tempo intero. Potremmo star qui a fare tutte le disamine tattiche e tecniche di questo mondo, e comunque non centreremmo il punto: il calcio è intuizione, e per vincere servono le ragioni del cuore, quelle che rinunciano alle certezze e si abbandonano a un'idea più alta, più complessa. Ma (e i fatti lo dimostrano) vincente.
Come Pascal suggerisce, la "scommessa" del senso la si vince con la fede, non con la ragione. Quella stessa fede che fa stringere 51.600 cuori biancorossi attorno alla loro squadra del cuore, per spingerla a un'impresa che lo stesso Mignani ha definito «Epica», senza esagerare. Bari e il Bari: una relazione simbiotica, a volte anche tossica per via del troppo amore. E, accidenti, se il troppo amore sa far male; però non si può spiegare quanto sappia fare anche bene.
Il minuto è il 25' della ripresa: Botta crossa, Folorunsho fa il velo, Benedetti la scarica in rete di prima. È tutto così semplice da descrivere, ma al tempo stesso così complicato da "sentire". Diavolo, il San Nicola (questo San Nicola, vestito con l'abito migliore delle feste comandate) si meritava di tirar fuori dall'anima quell'urlo primitivo di gioia, quando la bomba di Benedetti gonfia la rete e fa emergere tutti i sedimenti di passione lasciati a macerare in un cantuccio della coscienza.
Non c'è niente da fare: il Bari a Bolzano avrebbe anche potuto prendere l'onesto pareggio (e non l'ha preso), ma per vincere e sognare ci vogliono lo spirito del cuore e le sue ragioni "irragionevoli". Non che la testa non serva, anzi. Se non sei lucido, quando rimani in dieci per una serie di sfortunati errori (Bellomo prima, Ricci poi) e sei già con l'acqua alla gola perché il tempo scorre e il risultato non si sblocca, allora le cose non le sistemi. Ma senza consegnarsi mani e piedi all'infinito, nessuna forza della ragione ti può accompagnare sulla strada dei sogni.
Mignani a Bolzano ha sbagliato la gestione e i cambi; la piazza gliel'ha fatto notare, con una pioggia di critiche durata quattro giorni. Chissà se, con altrettanto zelo, al mister verrà tributato il giusto plauso per aver, al ritorno, azzeccato tutto quello che c'era da azzeccare. I tre moschettieri confezionano il goal-partita dopo 1' dal loro ingresso, andando a concretizzare tutto il lavoro di paziente logorio ai fianchi della super coriacea squadra di Bisoli, portato avanti fin dal fischio iniziale.
Mignani sceglie Bellomo e Morachioli larghi per aprire l'ermetico schieramento avversario e consumarne le energie psicofisiche. La mossa funziona, anche quando il mister rimane in dieci e passa al 4-3-2, con Esposito e Cheddira davanti per non dare punti di riferimento agli avversari, Maita e Maiello in mezzo con il loro moto perpetuo, il gigantesco Dorval con Morachioli larghi a tutta fascia. La tattica funziona, anche perché stavolta nel frullatore finisce pure una bella dose di coraggio. Quella che ci vuole per mandare in campo nello stesso slot Botta, Folorunsho (c'è da pregare che il ginocchio regga ancora un po', troppo importante l'ex Reggina) e Benedetti, spostando in avanti il baricentro e le fonti di gioco. È una scommessa, esattamente come quella di Pascal, e Mignani stavolta la stravince.
Il suo Bari fa - finalmente - la parte del "carro armato" che aveva auspicato il diesse Ciro Polito alla vigilia dei playoff. Testa bassa e cuore nelle scarpe: senza calcoli, per non avere rimpianti. È la dimostrazione che le partite vanno giocate, senza troppi alchimismi strambi. Altrimenti anche un vantaggio (quello che spetta al Bari come terza classificata) si può trasformare in un boomerang. Vero, con altri due pareggi il Bari sarebbe in serie A, ma il doppio confronto con la scorza dura di Bisoli serve a ricordare che chi gioca per pareggiare, nel 90% dei casi alla fine perde.
Lezione imparata, quindi? Forse sì, sarà il tempo a confermare o smentire. Per il momento, c'è da sottolinearlo col rosa shocking: il Bari è in finale, si sta giocando la serie A, quando appena 12 mesi fa ci si diceva "contenti" già con una salvezza tranquilla in serie B.
Ma qui di tranquillo non c'è nulla, e va benissimo così. In 51mila e oltre si fa un bel trambusto, ed è un dolce suono. Domenica 11 giugno, per la finale di ritorno, il San Nicola sarà probabilmente sold out. Per ora c'è solo da schiacciare il naso contro lo schermo e scoprire dalla tv con chi i biancorossi incroceranno i guanti nel doppio confronto di finale. O Parma o Cagliari; in entrambi i casi si pesca malissimo. Però, adesso, il Bari ha ritrovato lo spirito del cuore: si faccia avanti il prossimo, Bari saprà farsi trovare pronta.