Il Bari delle occasioni perse, ma i fischi sono ingenerosi
Con la Salernitana Grosso manca la chance per fare il salto di qualità e dar lustro a un lavoro che non può essere contestato
domenica 8 aprile 2018
10.12
Un'altra grossa opportunità gettata alle ortiche. È il refrain che si ripete come un mantra dall'inizio della stagione per il Bari, che dopo l'1-1 interno contro la Salernitana deve mangiarsi le mani per quello che poteva essere e che invece non è stato.
L'aggettivo che viene naturale associare al commento della partita è "schizofrenica": se nel primo tempo il Bari è apparso pimpante e desideroso di andarsi a prendere un risultato che (alla luce del pari del Palermo col Pescara e del 2-0 del Parma sul Frosinone) avrebbe totalmente riaperto la questione promozione diretta, nella ripresa la squadra di Grosso praticamente ha fatto da sparring alla Salernitana dell'ex Colantuono, bravo e fortunato a rimetterla in carreggiata con gli ingressi di Rosina e Rossi.
Un leitmotiv che ciclicamente riappare nelle prestazioni del Bari, non nuovo a regalare metà partita all'avversario. Stavolta, però, fa un po' più male. Sì, perché se con un grande sforzo di umiltà ci eravamo tutti più o meno scientemente rassegnati a lasciar andare il discorso promozione diretta in cambio di un piazzamento in pole position nella griglia playoff, per una buona quarantina di minuti (dal goal del vantaggio firmato Henderson fino al pari di Casasola, con nel mezzo le notizie che arrivavano dagli altri campi) lo scenario si era fatto inaspettatamente succulento per i fini palati del San Nicola. La possibilità di compiere il salto di qualità e trovarsi a -2 dalla coppia di seconde Palermo-Frosinone si era concretamente fatta strada nelle coscienze biancorosse, e rinunciarvi senza nemmeno lottare per metterla in atto è stato un amaro boccone da inghiottire, soprattutto non capendone il perché.
Di qui i fischi con cui lo stadio ha salutato la squadra che veniva a fare il mea culpa sotto la curva. Una reazione di pancia ma profondamente ingiusta nei confronti di squadra e allenatore per almeno un paio di motivi.
Il primo e più importante: mai scordare che stiamo parlando di un tecnico esordiente, alla prima esperienza nel calcio dei pro. A otto giornate dalla fine della stagione regolare possiamo dire che si è trattato a conti fatti di un investimento fruttuoso su un allenatore di talento, che se avesse scelto una piazza meno borbottante per il suo debutto forse ora navigherebbe già a vele spiegate verso la A.
Una scommessa (di Sogliano in testa) vinta, a prescindere da come andrà a finire la stagione. Giova ricordare che sulla panchina di Grosso un anno fa sedeva l'allenatore ieri avversario dei biancorossi, e che questi (ben più esperto e alla guida di una rosa se possibile migliore di quella del Bari attuale) ad aprile 2017 già vagava a metà del guado, leccandosi le ferite per il 4-0 rimediato in casa dell'ultima in classifica e con i remi tirati in barca a un mese e mezzo dalla fine del campionato.
Pur con tutte le occasioni mancate (a quella di ieri si aggiungano Ascoli, i quattro punti gettati con la Pro, i cinque persi con lo Spezia ecc.), Grosso oggi procede a quota 54 (score certamente positivo, come ha spesso e volentieri egli stesso ricordato), al quinto posto con il quarto a portata di tiro (-2) e il secondo non così lontano (-4). Un bottino di tutto rispetto che, a bocce ferme, forse nemmeno il più accanito dei criticoni sperava di avere alla 34ma giornata.
Il secondo punto riguarda la gestione del gruppo e delle forze. Se da un lato l'ex Fabio Mundial è stato fin dal principio bravo a far ruotare gli uomini distribuendo le energie e tenendo coinvolta nel progetto la rosa nella sua ampiezza, dall'altro la cocciuta scelta di lasciare fuori Galano dal vivo della stagione dimostra che al ragazzo non difetta affatto la personalità. Una scelta impopolare (esattamente come è stato ieri il cambio di Nenè con Busellato sull'1-1), ma di certo presa non contro l'interesse della squadra. Mentre l'uomo di maggior talento della rosa rimane in panca a ritrovare motivazioni e brillantezza, ci stiamo godendo l'esplosione di Henderson, diventato centrocampista a tutto tondo sotto la guida dell'ex campione del mondo, e un Cissè tornato a essere la forza della natura che avevamo ammirato a inizio stagione. A Grosso va accreditato anche il merito di aver reso Anderson da semi-sconosciuto giovanotto olandese a oggetto del desiderio di mezza Serie A e non solo.
I passaggi a vuoto ci sono, sono tanti e non è questa la sede in cui negarlo. Resta, però, il fatto che Grosso è stato capace di costruire (e lo dicono gioco e risultati) il miglior Bari dai tempi del miracolo datato 2014, con le più concrete prospettive di promozione dopo l'addio alla Serie A nel 2010. L'appello, dunque, è alla calma: i fischi di ieri sono una reazione comprensibile alla luce della delusione e del modo in cui è maturata, ma a nessuno è concesso in questo momento di rompere un'alchimia fragile ma comunque capace di portare squadra e città a lottare nei quartieri nobili della classifica. «Mai nulla fu raggiunto senza entusiasmo», recita un vecchio ma sempreverde adagio. Il calendario prima del poker finale Perugia, Palermo, Parma e Carpi è tutt'altro che impossibile: recuperiamo l'entusiasmo perduto perché abbiamo il dovere di provarci tutti insieme fino in fondo.
L'aggettivo che viene naturale associare al commento della partita è "schizofrenica": se nel primo tempo il Bari è apparso pimpante e desideroso di andarsi a prendere un risultato che (alla luce del pari del Palermo col Pescara e del 2-0 del Parma sul Frosinone) avrebbe totalmente riaperto la questione promozione diretta, nella ripresa la squadra di Grosso praticamente ha fatto da sparring alla Salernitana dell'ex Colantuono, bravo e fortunato a rimetterla in carreggiata con gli ingressi di Rosina e Rossi.
Un leitmotiv che ciclicamente riappare nelle prestazioni del Bari, non nuovo a regalare metà partita all'avversario. Stavolta, però, fa un po' più male. Sì, perché se con un grande sforzo di umiltà ci eravamo tutti più o meno scientemente rassegnati a lasciar andare il discorso promozione diretta in cambio di un piazzamento in pole position nella griglia playoff, per una buona quarantina di minuti (dal goal del vantaggio firmato Henderson fino al pari di Casasola, con nel mezzo le notizie che arrivavano dagli altri campi) lo scenario si era fatto inaspettatamente succulento per i fini palati del San Nicola. La possibilità di compiere il salto di qualità e trovarsi a -2 dalla coppia di seconde Palermo-Frosinone si era concretamente fatta strada nelle coscienze biancorosse, e rinunciarvi senza nemmeno lottare per metterla in atto è stato un amaro boccone da inghiottire, soprattutto non capendone il perché.
Di qui i fischi con cui lo stadio ha salutato la squadra che veniva a fare il mea culpa sotto la curva. Una reazione di pancia ma profondamente ingiusta nei confronti di squadra e allenatore per almeno un paio di motivi.
Il primo e più importante: mai scordare che stiamo parlando di un tecnico esordiente, alla prima esperienza nel calcio dei pro. A otto giornate dalla fine della stagione regolare possiamo dire che si è trattato a conti fatti di un investimento fruttuoso su un allenatore di talento, che se avesse scelto una piazza meno borbottante per il suo debutto forse ora navigherebbe già a vele spiegate verso la A.
Una scommessa (di Sogliano in testa) vinta, a prescindere da come andrà a finire la stagione. Giova ricordare che sulla panchina di Grosso un anno fa sedeva l'allenatore ieri avversario dei biancorossi, e che questi (ben più esperto e alla guida di una rosa se possibile migliore di quella del Bari attuale) ad aprile 2017 già vagava a metà del guado, leccandosi le ferite per il 4-0 rimediato in casa dell'ultima in classifica e con i remi tirati in barca a un mese e mezzo dalla fine del campionato.
Pur con tutte le occasioni mancate (a quella di ieri si aggiungano Ascoli, i quattro punti gettati con la Pro, i cinque persi con lo Spezia ecc.), Grosso oggi procede a quota 54 (score certamente positivo, come ha spesso e volentieri egli stesso ricordato), al quinto posto con il quarto a portata di tiro (-2) e il secondo non così lontano (-4). Un bottino di tutto rispetto che, a bocce ferme, forse nemmeno il più accanito dei criticoni sperava di avere alla 34ma giornata.
Il secondo punto riguarda la gestione del gruppo e delle forze. Se da un lato l'ex Fabio Mundial è stato fin dal principio bravo a far ruotare gli uomini distribuendo le energie e tenendo coinvolta nel progetto la rosa nella sua ampiezza, dall'altro la cocciuta scelta di lasciare fuori Galano dal vivo della stagione dimostra che al ragazzo non difetta affatto la personalità. Una scelta impopolare (esattamente come è stato ieri il cambio di Nenè con Busellato sull'1-1), ma di certo presa non contro l'interesse della squadra. Mentre l'uomo di maggior talento della rosa rimane in panca a ritrovare motivazioni e brillantezza, ci stiamo godendo l'esplosione di Henderson, diventato centrocampista a tutto tondo sotto la guida dell'ex campione del mondo, e un Cissè tornato a essere la forza della natura che avevamo ammirato a inizio stagione. A Grosso va accreditato anche il merito di aver reso Anderson da semi-sconosciuto giovanotto olandese a oggetto del desiderio di mezza Serie A e non solo.
I passaggi a vuoto ci sono, sono tanti e non è questa la sede in cui negarlo. Resta, però, il fatto che Grosso è stato capace di costruire (e lo dicono gioco e risultati) il miglior Bari dai tempi del miracolo datato 2014, con le più concrete prospettive di promozione dopo l'addio alla Serie A nel 2010. L'appello, dunque, è alla calma: i fischi di ieri sono una reazione comprensibile alla luce della delusione e del modo in cui è maturata, ma a nessuno è concesso in questo momento di rompere un'alchimia fragile ma comunque capace di portare squadra e città a lottare nei quartieri nobili della classifica. «Mai nulla fu raggiunto senza entusiasmo», recita un vecchio ma sempreverde adagio. Il calendario prima del poker finale Perugia, Palermo, Parma e Carpi è tutt'altro che impossibile: recuperiamo l'entusiasmo perduto perché abbiamo il dovere di provarci tutti insieme fino in fondo.