Cronaca
Concussione, sequestrati beni per 150.000 Euro a ex giudice del Tribunale Civile di Bari
Nei guai Domenico Ancona: chiedeva tangenti agli imprenditori per agevolarli nei processi
Bari - venerdì 20 aprile 2018
11.50
Maxi sequestro di beni per un valore di 150.000 Euro operato dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari – Gruppo Tutela Spesa Pubblica, in collaborazione con ufficiali giudiziari dell'UNEP di Bari. L'operazione è scattata nei confronti di Domenico Ancona, ex giudice civile del Tribunale di Bari, raggiunto dalla misura del sequestro conservativo.
La disposizione è arrivata dalla Sezione Giurisdizionale per la Puglia su richiesta della Procura Regionale della Corte dei Conti di Bari, diretta dalla dottoressa Carmela de Gennaro. La vicenda giudiziaria di Ancona trae origine da un'indagine della polizia giudiziaria coordinata all'epoca dalla Procura di Lecce: l'indagine riguardava un tentativo di concussione perpetrato dall'allora giudice Ancona nei confronti di un imprenditore, per costringerlo a elargire una tangente di circa 15.000 Euro.
Il dottor Ancona, per altro, non era nuovo a questo genere di pratiche illegali. Dalla lettura delle sentenze di condanna in tre gradi di giudizio, infatti, è emerso il suo coinvolgimento - insieme ad altri sodali tra cui un secondo magistrato poi deceduto - anche in un altro precedente episodio di tentata concussione, anch'esso conclusosi con la condanna. Vittima anche di questo tentativo di concussione ancora un imprenditore, a cui Ancona e i suoi soci avevano chiesto il pagamento di una tangente pari ad 75.000 Euro (allora in Lire pari a circa 150 milioni), in cambio di un provvedimento favorevole nell'ambito di un procedimento civile.
Nel primo caso si trattava di ottenere la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo; nel secondo un'ordinanza favorevole all'imprenditore per una congrua "provvisionale" nell'ambito di un giudizio contro il Comune di Altamura.
Per entrambe le vicende di concussione il giudice Ancona è stato condannato, per due volte ed in via definitiva, a tre anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese procesuali, con la conseguente interdizione dai pubblici uffici e cessazione del rapporto lavorativo con l'Amministrazione della Giustizia.
Sulla vicenda La Procura Regionale della Corte dei Conti di Bari ha istruito un fascicolo, affidato al Vice Procuratore Generale Pierpaolo Grasso. La palla è così passata alla Guardia di Finanza del Nucleo di Bari, che ha condotto indagini economico-patrimoniali e bancarie nei confronti dell'ex giudice Ancona.
Quanto emerso dalle indagini ha consentito a Grasso di valutare la grave vicenda penale conclusasi con la sentenza della corte Suprema di Cassazione n.21701 del 21 maggio 2013, sotto il profilo del Danno all'immagine, quantificato in 150.000 Euro. Una stima su cui ha inciso anche la reiterazione del reato da parte del giudice Ancona, reo di aver offuscato l'immagine e la credibilità dell'Amministrazione della Giustizia.
Per questi motivi, quindi, l'Autorità Giudiziaria contabile ha richiesto ed ottenuto il sequestro di beni in relazione al pericolo che l'imputato potesse disfarsene.
In particolare, «il decreto di sequestro conservativo ante causam ha ad oggetto un diritto di usufrutto e tutte le ragioni di credito per somme dovute all'Ancona dall'INPS e da alcuni Istituti bancari», come si legge nella nota della GdF.
La parte è stata citata in giudizio per il prossimo 22 maggio. Nel contempo all'imputato è stata notificata una diffida al pagamento, in solido, della somma citata - oltre agli interessi ed alla rivalutazione monetaria.
La disposizione è arrivata dalla Sezione Giurisdizionale per la Puglia su richiesta della Procura Regionale della Corte dei Conti di Bari, diretta dalla dottoressa Carmela de Gennaro. La vicenda giudiziaria di Ancona trae origine da un'indagine della polizia giudiziaria coordinata all'epoca dalla Procura di Lecce: l'indagine riguardava un tentativo di concussione perpetrato dall'allora giudice Ancona nei confronti di un imprenditore, per costringerlo a elargire una tangente di circa 15.000 Euro.
Il dottor Ancona, per altro, non era nuovo a questo genere di pratiche illegali. Dalla lettura delle sentenze di condanna in tre gradi di giudizio, infatti, è emerso il suo coinvolgimento - insieme ad altri sodali tra cui un secondo magistrato poi deceduto - anche in un altro precedente episodio di tentata concussione, anch'esso conclusosi con la condanna. Vittima anche di questo tentativo di concussione ancora un imprenditore, a cui Ancona e i suoi soci avevano chiesto il pagamento di una tangente pari ad 75.000 Euro (allora in Lire pari a circa 150 milioni), in cambio di un provvedimento favorevole nell'ambito di un procedimento civile.
Nel primo caso si trattava di ottenere la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo; nel secondo un'ordinanza favorevole all'imprenditore per una congrua "provvisionale" nell'ambito di un giudizio contro il Comune di Altamura.
Per entrambe le vicende di concussione il giudice Ancona è stato condannato, per due volte ed in via definitiva, a tre anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese procesuali, con la conseguente interdizione dai pubblici uffici e cessazione del rapporto lavorativo con l'Amministrazione della Giustizia.
Sulla vicenda La Procura Regionale della Corte dei Conti di Bari ha istruito un fascicolo, affidato al Vice Procuratore Generale Pierpaolo Grasso. La palla è così passata alla Guardia di Finanza del Nucleo di Bari, che ha condotto indagini economico-patrimoniali e bancarie nei confronti dell'ex giudice Ancona.
Quanto emerso dalle indagini ha consentito a Grasso di valutare la grave vicenda penale conclusasi con la sentenza della corte Suprema di Cassazione n.21701 del 21 maggio 2013, sotto il profilo del Danno all'immagine, quantificato in 150.000 Euro. Una stima su cui ha inciso anche la reiterazione del reato da parte del giudice Ancona, reo di aver offuscato l'immagine e la credibilità dell'Amministrazione della Giustizia.
Per questi motivi, quindi, l'Autorità Giudiziaria contabile ha richiesto ed ottenuto il sequestro di beni in relazione al pericolo che l'imputato potesse disfarsene.
In particolare, «il decreto di sequestro conservativo ante causam ha ad oggetto un diritto di usufrutto e tutte le ragioni di credito per somme dovute all'Ancona dall'INPS e da alcuni Istituti bancari», come si legge nella nota della GdF.
La parte è stata citata in giudizio per il prossimo 22 maggio. Nel contempo all'imputato è stata notificata una diffida al pagamento, in solido, della somma citata - oltre agli interessi ed alla rivalutazione monetaria.