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Coronavirus, la storia di Enrico: «Torno a casa dopo 25 giorni di terapia intensiva»

Il racconto di un barese 65enne: «Sono stato contagiato da mia madre che poi ci ha lasciati. Bisogna seguire le regole»

«Finalmente ritorno a casa, dopo 25 giorni di ricovero nel Policlinico di Bari, nel reparto di terapia intensiva Covid 19 U.T.R. Pneumologia, per l'ormai nota pandemia da Coronavirus». A parlare è Enrico De Lisotta, barese 65enne, nonno, che ha conosciuto da vicino il Coronavirus e che ha deciso di raccontare la sua storia per sensibilizzare tutti sul tema della prudenza e della prevenzione.

«Contagiato dalla mia povera mamma che, dopo diversi giorni di ricovero, ci ha lasciato senza che alcun affetto familiare abbia potuto accompagnarla nel trapasso, sono finito anch'io nello stesso limbo, a vivere le sue stesse paure, a patire delle sue stesse ansie e tristi verità. Oggi sono qui nella mia stanza a mettere nero su bianco ciò che ho vissuto e che mi ha segnato e che, penso, lascerà una impronta indelebile nella mia vita ed in quella dei miei familiari».

Il racconto di Enrico


Questo mio scritto nasce dal desiderio di voler dare testimonianza di ciò che potrebbe vivere chi non segue le regole, regole dettate dalla sanità per prevenire contagi di cui si può facilmente perdere il controllo mettendo in gravissime difficoltà gli interventi sanitari già di per sé in affanno.

La costrizione di vivere un periodo più o meno lungo, di ristrettezza in termini di libertà di circolazione, credetemi, non può reggere il confronto con un periodo di 24/25 giorni vissuti in uno spazio di 1 metro per 2 di un letto nel quale sei bloccato da apparecchi per la ventilazione forzata, da elettrodi di rilevamento cardiaco, da pinze alle dita per il controllo della saturazione dell'ossigeno, rilevatori di pressione sanguigna. Giorni di aghi nelle braccia che ti iniettano farmaci utili a gestire il metabolismo che - in quelle circostanze - perde le sue normali funzioni, farmaci utili a tenere sotto controllo le infiammazioni polmonari.

Sei praticamente sempre sveglio perché le terapie sono attive durante tutto l'arco delle 24 ore, e non sei sedato, ed il tuo riposo si riduce a 2/3 ore totali al giorno. Bisogna considerare anche che le possibilità di movimento, si riducono a piccolissimi spostamenti dei singoli arti, con il solo aiuto di un letto che può essere ergonomizzato e che dà dolori fastidiosissimi da posture viziose.

E poi le urla, i pianti le richieste di aiuto che giungono da ogni dove, il via vai dei medici e degli infermieri che senza volto e senza sosta soccorrono pazienti o trasportano cadaveri senza mai perdere la pazienza o stimoli nella ricerca.

Lo sguardo fisso alla parete di fronte a te, ed un crocifisso a cui rivolgere le tue suppliche di guarigione, congiuntamente a coloro i quali partecipano da casa alla tua passione, nella speranza che un miracolo si verifichi. Per questo, tornare a vivere in un ambiente di 80 metri quadri, per me è come vivere in una reggia. Nel percorso terapeutico, il timore di non potercela fare è costante; soprattutto quando – nel mio caso – i medici si sono arenati di fronte ad un blocco delle capacità di ripresa del polmone dx, che non era in grado di poter rispondere a sufficiente attività tanto da impedire lo scambio gassoso necessario ad una normale ossigenazione del sangue.

All'improvviso però qualcosa cambia...

Siamo alla vigilia di Pasqua. Con un po' di fortuna, durante la pausa pranzo, sempre affrontando grandi difficoltà nel riuscire ad ingoiare un po' di cibo, riesco a mandare un sms al parroco della mia Chiesa, Padre Raffaele, chiedendo di inserire durante la veglia nelle preghiere dei fedeli, le intenzioni di supplica per noi ricoverati. Immediata la risposta che mi assicura essere nelle sue intenzioni.

Domenica di Pasqua: una dott.ssa di cui purtroppo non riesco a ricordare il nome, mi si avvicina e mi informa che intende trovare una via di uscita al blocco di quel polmone: ha cambiato il piano terapeutico, provando ad aumentare la dose di eparina. Questa prova le aveva dato dei cenni di miglioramento nelle analisi del sangue.

Con molta delicatezza mi dice che è necessario un emogas, il prelievo di sangue arterioso, definito la madre di tutti i prelievi, poiché è dolorosissimo ma assolutamente necessario per la verifica del passaggio di ossigeno nel sangue. La mia raccomandazione alla dott.ssa è che mi facesse soffrire il meno possibile.

Dopo il prelievo, a distanza di una decina di minuti più o meno, la vedo tornare quasi saltellando di gioia, come se avesse vinto il campionato del mondo. Con l'entusiasmo alle stelle, mi annunciava il risultato eclatante di valori che da 124 erano passati a 414, invertendo la rotta delle cose: il miracolo si era compiuto. Lode al Signore che ha guidato i medici in una scelta vincente.

Tale entusiasmo, lo condivide prima con me, poi con il suo collega incontrato nel corridoio, collega che a sua volta esulta di soddisfazione. A questo punto, vogliono giocare la carta della riduzione di supporto dell'ossigeno, eliminando la famigerata maschera chip-up, che riesce a crearti lesioni del setto nasale, e facendomi utilizzare dei piccoli naselli detti "occhialini", molto meno invasivi e che ti lasciano vivere molto meglio in termini anche di visibilità.

Questa prova, sarà valutata nel giro di 24 ore, dopodiché, se fossi stato nelle condizioni di autosufficienza respiratoria, sempre controllata dall'apparecchio della saturazione, si sarebbe potuto valutare il trasferimento, in un reparto meno intensivo. Cosa che è avvenuta nei tre giorni successivi.

Oggi posso dire che il Reparto Covid19 U.T.R. Pneumologia del Policlinico di Bari è un reparto di eccellenza della nostra sanità Pugliese, in grado di affrontare situazioni di estrema gravità. Lo staff di medici, infermieri, OSS, ausiliari e personale addetto ad altri ruoli, ha una efficienza degna di lode non solo in termini medico scientifici, ma anche umani, in grado di condividere con te, gioie e dolori; riescono a farti sopportare meglio la condizione di disabilità regalandoti affetto quasi familiare, pur nel disagio operativo, rischiando la propria vita, per salvare la tua.

Purtroppo le circostanze non mi hanno permesso di poter raccogliere i nomi di tutti questi angeli che non mostrano il loro volto, e ne sono dispiaciuto. Tutti però hanno un posto nel mio cuore.

Ringrazio dott.ssa Michela, dott. Buonamico, dott. Majorano, dott. Di Gioia. Ringrazio gli infermieri Miguel, Maria, Salvatore, Susy, Antonella, Francesca, Iolanda, Gabriella, Vincenzo, Antonio, Mary, Simona, Lina, Anna, Maristella, Carlo, Rosy, Maddalena. Ringrazio l'oss Giuseppe e il personale addetto alle pulizie. auguro loro una carriera di grandi soddisfazioni.

Spero vivamente che, la direzione sanitaria del Policlinico di Bari, nonché la Regione Puglia, nella persona del governatore Michele Emiliano, prendano atto del valore medico scientifico di queste persone. Una consapevolezza che non può risolversi solo con elogi per l'impegno di questi momenti, ma che deve essere espressa applicando nei loro confronti una meritocrazia onesta e convalidata da migliori condizioni economiche.

Questa non vuole essere una dichiarazione personale ma, il pensiero di chi come me, ha vissuto la stessa esperienza.

Colgo l'occasione per ringraziare il nostro medico curante, il dott. Leonardo Schino, il quale sin dal primo momento in cui è stato ipotizzato il possibile contagio, mi ha monitorato e seguito passo passo, dedicando alla mia famiglia, anche il tempo del suo riposo. Questo credo sia il vero modo per definire un lavoro fatto con passione ed umanità.

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