
Cronaca
Crac gruppo Fusillo, gli inquirenti: «Popolare di Bari ha erogato prestiti milionari»
La Procura ipotizza che Marco e Gianluca Jacobini abbiano avuto influenza sulla banca anche dopo il commissariamento
Bari - martedì 29 settembre 2020
12.14
Prestiti milionari sono stati concessi dalla Banca popolare di Bari a società del gruppo Fusillo di Noci in evidente dissesto. Questa è una delle ipotesi alla base dell'inchiesta della Procura di Bari, che stamattina ha portato all'esecuzione di otto misure cautelari (sei arresti domiciliari e due interdizioni), nei confronti di ex vertici della BpB e del gruppo Fusillo, tra cui Gianluca Jacobini (ai domiciliari) e Marco Jacobini (interdetto). I reati contestati sono bancarotta fraudolenta e riciclaggio. «L'esposizione complessiva dell'istituto di credito barese rispetto al gruppo Fusillo - si legge negli atti - ha progressivamente raggiunto la ragguardevole cifra di 340 milioni di euro» e «In ragione della longevità e preminente rilevanza economica della posizione in questione», i rapporti con il gruppo Fusillo erano «Curati direttamente e costantemente dei vertici apicali dell'istituto bancario, in persona degli indagati Marco e Gianluca Jacobini, per anni leader incontrastati in seno al management della Banca Popolare di Bari».
Secondo gli inquirenti, Marco e Gianluca Jacobini (ex presidente ed ex condirettore della Banca Popolare di Bari) hanno continuato ad avere contatti con dirigenti dell'istituto di credito e esponenti di primo piano del mondo imprenditoriale e istituzionale, compresa la Banca d'Italia, anche dopo il commissariamento dell'istituto di credito, avvenuto il 13 dicembre scorso. Lo sottolinea la Procura di Bari, nella richiesta di misura cautelare avanzata al gip Luigia Lambriola, al termine dell'inchiesta sul crac Fusillo. I pm richiamano un'informativa della guardia di finanza di febbraio, nella quale sono evidenziati i molteplici contatti avuti dagli Jacobini dopo il commissariamento. «Tanto fa ritenere - è scritto nella richiesta dei pm - che la fuoriuscita degli Jacobini dalla governance aziendale non ha minimamente intaccato i legami personali degli stessi in ambito bancario nonché l'influenza nelle questioni di vitale importanza per la banca».
«C'è pericolo che possano reiterare i reati commessi»: con questa motivazione la gip di Bari Luigia Lambriola ha imposto gli arresti domiciliari a sei degli otto indagati nell'inchiesta del procuratore vicario Roberto Rossi e del pm Lanfranco Marazia sul crac del gruppo Fusillo. «Misure diverse, che consentissero loro libertà di movimento, consentirebbero di reiterare altri gravi fatti analoghi", è scritto nell'ordinanza. Ai domiciliari sono finiti: Gianluca Jacobini, Giacomo Fusillo, Nicola Loperfido, Vincenzo Elio Giacovelli, Girolamo Stabile, Salvatore Leggiero. L'interdizione per un anno è stata disposta per Vito Fusillo e Marco Jacobini.
La posizione di Vito Fusillo si è alleggerita perché l'imprenditore ha collaborato attivamente con gli inquirenti, nell'ambito dell'inchiesta sul crac delle società Fimco e Maiora, connessa all'inchiesta sulla Banca Popolare di Bari. Proprio la «Condotta collaborativa, dimostrata in sede di interrogatorio, nonché le dichiarazioni spontanee, hanno scemato il grado di esigenze cautelari», scrive la giudice Luigia Lambriola nella sua ordinanza. Alla luce della collaborazione, il procuratore vicario Roberto Rossi e il pm Lanfranco Marazia «Hanno chiesto l'applicazione di una misura cautelare più blanda rispetto a quella iniziale ovvero il divieto di esercitare l'attività imprenditoriale e l'attività professionale di consulenza alle imprese», che è stata disposta per 12 mesi.
Fra le operazioni che hanno contribuito al dissesto delle società del gruppo Fusillo di Noci, ci sarebbe la vendita, al prezzo di 40 milioni di euro, di un immobile di pregio vicino alla fontana di Trevi, a Roma. Il bene sarebbe stato venduto al prezzo di 40 milioni di euro tra il 2016 e il 2017 alla società Roma Trevi dell'imprenditore Salvatore Leggiero (finito agli arresti domiciliari insieme ad altre cinque persone), dopo che nei due anni precedenti Fimco aveva ottenuto da Banca popolare di Bari linee di credito per lo stesso importo proprio per l'acquisto e ristrutturazione dell'immobile. L'imprenditore Vito Fusillo lo avrebbe fatto per mettere al sicuro i beni di valore delle società Fimco e Maiora (poi fallite), cedendoli a società sempre riconducibili alla famiglia Fusillo.
Secondo gli inquirenti, Marco e Gianluca Jacobini (ex presidente ed ex condirettore della Banca Popolare di Bari) hanno continuato ad avere contatti con dirigenti dell'istituto di credito e esponenti di primo piano del mondo imprenditoriale e istituzionale, compresa la Banca d'Italia, anche dopo il commissariamento dell'istituto di credito, avvenuto il 13 dicembre scorso. Lo sottolinea la Procura di Bari, nella richiesta di misura cautelare avanzata al gip Luigia Lambriola, al termine dell'inchiesta sul crac Fusillo. I pm richiamano un'informativa della guardia di finanza di febbraio, nella quale sono evidenziati i molteplici contatti avuti dagli Jacobini dopo il commissariamento. «Tanto fa ritenere - è scritto nella richiesta dei pm - che la fuoriuscita degli Jacobini dalla governance aziendale non ha minimamente intaccato i legami personali degli stessi in ambito bancario nonché l'influenza nelle questioni di vitale importanza per la banca».
«C'è pericolo che possano reiterare i reati commessi»: con questa motivazione la gip di Bari Luigia Lambriola ha imposto gli arresti domiciliari a sei degli otto indagati nell'inchiesta del procuratore vicario Roberto Rossi e del pm Lanfranco Marazia sul crac del gruppo Fusillo. «Misure diverse, che consentissero loro libertà di movimento, consentirebbero di reiterare altri gravi fatti analoghi", è scritto nell'ordinanza. Ai domiciliari sono finiti: Gianluca Jacobini, Giacomo Fusillo, Nicola Loperfido, Vincenzo Elio Giacovelli, Girolamo Stabile, Salvatore Leggiero. L'interdizione per un anno è stata disposta per Vito Fusillo e Marco Jacobini.
La posizione di Vito Fusillo si è alleggerita perché l'imprenditore ha collaborato attivamente con gli inquirenti, nell'ambito dell'inchiesta sul crac delle società Fimco e Maiora, connessa all'inchiesta sulla Banca Popolare di Bari. Proprio la «Condotta collaborativa, dimostrata in sede di interrogatorio, nonché le dichiarazioni spontanee, hanno scemato il grado di esigenze cautelari», scrive la giudice Luigia Lambriola nella sua ordinanza. Alla luce della collaborazione, il procuratore vicario Roberto Rossi e il pm Lanfranco Marazia «Hanno chiesto l'applicazione di una misura cautelare più blanda rispetto a quella iniziale ovvero il divieto di esercitare l'attività imprenditoriale e l'attività professionale di consulenza alle imprese», che è stata disposta per 12 mesi.
Fra le operazioni che hanno contribuito al dissesto delle società del gruppo Fusillo di Noci, ci sarebbe la vendita, al prezzo di 40 milioni di euro, di un immobile di pregio vicino alla fontana di Trevi, a Roma. Il bene sarebbe stato venduto al prezzo di 40 milioni di euro tra il 2016 e il 2017 alla società Roma Trevi dell'imprenditore Salvatore Leggiero (finito agli arresti domiciliari insieme ad altre cinque persone), dopo che nei due anni precedenti Fimco aveva ottenuto da Banca popolare di Bari linee di credito per lo stesso importo proprio per l'acquisto e ristrutturazione dell'immobile. L'imprenditore Vito Fusillo lo avrebbe fatto per mettere al sicuro i beni di valore delle società Fimco e Maiora (poi fallite), cedendoli a società sempre riconducibili alla famiglia Fusillo.