Politica
Elsa Fornero all’Università di Bari: «La mia riforma? È mancata comunicazione»
L’ex ministro: «Connotazioni politiche complicano dialogo governo-parti sociali»
Bari - martedì 21 novembre 2017
18.00
Docente ordinario di Economia Politica all'Università di Torino e già ministro del Lavoro durante il governo Monti tra il 2011 e il 2013: oggi pomeriggio la professoressa Elsa Fornero è stata ospite del dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Bari per relazionare al convegno "Le Riforme Previdenziali come Investimento Sociale?" organizzato dall'associazione studentesca UniVerso Studenti.
Un'occasione buona per mettere un punto sulla sua ormai arci nota riforma delle pensioni, a cinque anni dalla sua approvazione, scendendo nel merito dei provvedimenti che quel governo tecnico dovette prendere in fretta e furia per rimettere in carreggiata un Paese travolto dalla crisi al suo apice. Una riflessione storica e basata su dati e studi economico-demografici che nel 2012 non apparvero con la medesima chiarezza del "sangue e lacrime" che accompagnò quella stessa riforma.
«Il grande rimpianto che ho – spiega Fornero alla platea – è quello che noi, non essendo politici di professione (e l'errore di Monti è stato proprio presentarsi alle elezioni invece che farsi da parte), non fummo capaci all'epoca di comunicare ai cittadini l'urgenza e la forza riparatrice di quella riforma. Alzare l'età pensionabile a 67 anni è stata una misura necessaria per permettere di pagare le pensioni dei giovani che oggi si affacciano sul mondo del lavoro, e che altrimenti non avrebbero potuto percepirla. Anche l'aver pareggiato l'età pensionabile per uomini e donne è stata una misura indispensabile: innanzitutto perché è stato più volte richiesto all'Italia da Bruxelles, e poi perché le donne è giusto che abbiano stessi diritti e doveri sul lavoro degli uomini, così come è giusto che gli uomini abbiano gli stessi diritti e doveri delle donne nell'economia domestica. Per anni le politiche hanno di fatto preso provvedimenti discriminatori, dando alle lavoratrici il contentino di andare in pensione un paio d'anni prima».
L'altro grande rammarico di Elsa Fornero è quello di aver dovuto fare tutto in fretta e furia, preparando la legge in meno di 20 giorni. Sul tavolo restano quelle che la stessa professoressa Fornero definisce delle «Distorsioni», che di fatto minano il contratto generazionale tra giovani che entrano nel mercato del lavoro e vecchi che faticano ad uscirne. «Purtroppo la storia non si può cambiare – prosegue l'ex ministro. Noi abbiamo dovuto fare le cose senza il "lusso" della gradualità perché la situazione era di emergenza e non c'erano mesi interi disponibili per la discussione. La buona volontà della politica avrebbe, in un secondo momento, potuto provare a rimediare ad alcune cose, e in parte è stato fatto, ma mantenendo l'impianto che, ribadisco, dà sostenibilità al futuro».
Una riforma, quindi, che non è stata compresa ma sulla quale si sono andate gradualmente a costruire le politiche occupazionali degli ultimi anni, stando a quanto afferma Elsa Fornero: «Quello che volevo che si venisse a creare era un mercato del lavoro aperto, in cui fosse relativamente facile entrare e dove non valesse la logica dell'uscita per permettere l'entrata. Avrei voluto, inoltre, anche un mercato del lavoro dinamico, dove una persona che aveva un lavoro prima di perderlo possa ritrovarlo in tempi brevi, e dove i giovani possano avere la possibilità di trovare un'occasione di lavoro senza aspettare anni di inoccupazione. La mia riforma del lavoro è stata criticata già dopo appena due settimane; c'erano i giornali che annunciavano disonestamente che la riforma era stata un fallimento perché non aveva aumentato posti di lavori. Il Jobs Act, però, è partito proprio da quella riforma, cancellandola per proporne una ancora più radicale. A me si possono imputare tante cose – continua – ma non certo di aver smantellato l'articolo 18. La scelta era stata di modificare l'articolo 18, mantenendolo comunque a protezione dei lavoratori in modo da rendere meno invasivo l'elemento giudiziario e favorire la conciliazione (almeno nei casi in cui ci sia onestà da entrambe le parti) e anche difendere il lavoriatore contro certi possibili licenziamenti che (senza arrivare a parlare di discriminazione) non sono motivati né dal punto di vista disciplinare né economico».
La discussione, inevitabilmente, si protrae e le ripercussioni sono ben visibili ancora oggi: il dialogo tra governo e parti sociali continua a rimanere aspro, nonostante l'esclusione di alcune categorie dall'innalzamento della soglia pensionabile. «Credo che la discussione tra governo e parti sociali sia contaminata in questo periodo da forti connotazioni politiche. La vicinanza alle elezioni rende tutto più complicato. Mi pare evidente che qualche sindacato abbia voluto usare politicamente questa trattativa. Spero che il governo abbia la capacità, e mi sembra comunque di intravederne le premesse, di mettere dei punti fermi perché in ballo c'è il futuro dei nostri giovani», conclude la professoressa Fornero.
Un'occasione buona per mettere un punto sulla sua ormai arci nota riforma delle pensioni, a cinque anni dalla sua approvazione, scendendo nel merito dei provvedimenti che quel governo tecnico dovette prendere in fretta e furia per rimettere in carreggiata un Paese travolto dalla crisi al suo apice. Una riflessione storica e basata su dati e studi economico-demografici che nel 2012 non apparvero con la medesima chiarezza del "sangue e lacrime" che accompagnò quella stessa riforma.
«Il grande rimpianto che ho – spiega Fornero alla platea – è quello che noi, non essendo politici di professione (e l'errore di Monti è stato proprio presentarsi alle elezioni invece che farsi da parte), non fummo capaci all'epoca di comunicare ai cittadini l'urgenza e la forza riparatrice di quella riforma. Alzare l'età pensionabile a 67 anni è stata una misura necessaria per permettere di pagare le pensioni dei giovani che oggi si affacciano sul mondo del lavoro, e che altrimenti non avrebbero potuto percepirla. Anche l'aver pareggiato l'età pensionabile per uomini e donne è stata una misura indispensabile: innanzitutto perché è stato più volte richiesto all'Italia da Bruxelles, e poi perché le donne è giusto che abbiano stessi diritti e doveri sul lavoro degli uomini, così come è giusto che gli uomini abbiano gli stessi diritti e doveri delle donne nell'economia domestica. Per anni le politiche hanno di fatto preso provvedimenti discriminatori, dando alle lavoratrici il contentino di andare in pensione un paio d'anni prima».
L'altro grande rammarico di Elsa Fornero è quello di aver dovuto fare tutto in fretta e furia, preparando la legge in meno di 20 giorni. Sul tavolo restano quelle che la stessa professoressa Fornero definisce delle «Distorsioni», che di fatto minano il contratto generazionale tra giovani che entrano nel mercato del lavoro e vecchi che faticano ad uscirne. «Purtroppo la storia non si può cambiare – prosegue l'ex ministro. Noi abbiamo dovuto fare le cose senza il "lusso" della gradualità perché la situazione era di emergenza e non c'erano mesi interi disponibili per la discussione. La buona volontà della politica avrebbe, in un secondo momento, potuto provare a rimediare ad alcune cose, e in parte è stato fatto, ma mantenendo l'impianto che, ribadisco, dà sostenibilità al futuro».
Una riforma, quindi, che non è stata compresa ma sulla quale si sono andate gradualmente a costruire le politiche occupazionali degli ultimi anni, stando a quanto afferma Elsa Fornero: «Quello che volevo che si venisse a creare era un mercato del lavoro aperto, in cui fosse relativamente facile entrare e dove non valesse la logica dell'uscita per permettere l'entrata. Avrei voluto, inoltre, anche un mercato del lavoro dinamico, dove una persona che aveva un lavoro prima di perderlo possa ritrovarlo in tempi brevi, e dove i giovani possano avere la possibilità di trovare un'occasione di lavoro senza aspettare anni di inoccupazione. La mia riforma del lavoro è stata criticata già dopo appena due settimane; c'erano i giornali che annunciavano disonestamente che la riforma era stata un fallimento perché non aveva aumentato posti di lavori. Il Jobs Act, però, è partito proprio da quella riforma, cancellandola per proporne una ancora più radicale. A me si possono imputare tante cose – continua – ma non certo di aver smantellato l'articolo 18. La scelta era stata di modificare l'articolo 18, mantenendolo comunque a protezione dei lavoratori in modo da rendere meno invasivo l'elemento giudiziario e favorire la conciliazione (almeno nei casi in cui ci sia onestà da entrambe le parti) e anche difendere il lavoriatore contro certi possibili licenziamenti che (senza arrivare a parlare di discriminazione) non sono motivati né dal punto di vista disciplinare né economico».
La discussione, inevitabilmente, si protrae e le ripercussioni sono ben visibili ancora oggi: il dialogo tra governo e parti sociali continua a rimanere aspro, nonostante l'esclusione di alcune categorie dall'innalzamento della soglia pensionabile. «Credo che la discussione tra governo e parti sociali sia contaminata in questo periodo da forti connotazioni politiche. La vicinanza alle elezioni rende tutto più complicato. Mi pare evidente che qualche sindacato abbia voluto usare politicamente questa trattativa. Spero che il governo abbia la capacità, e mi sembra comunque di intravederne le premesse, di mettere dei punti fermi perché in ballo c'è il futuro dei nostri giovani», conclude la professoressa Fornero.