Eventi e cultura
Il Bif&st chiude con "Ultimo Tango a Parigi". Bertolucci: «Sembra di averlo girato ora»
Il maestro presente al Galleria per l'anteprima della pellicola restaurata: «Tra Brando e la Schneider c'era grande intesa»
Bari - sabato 28 aprile 2018
13.43
Chiusura in bellezza per la nona edizione del Bif&st, su cui stasera calerà il sipario non prima, però, di aver toccato l'apice. Alle 20:30, presso il teatro Petruzzelli, è in programma l'anteprima (andata quasi subito sold out) della versione restaurata di "Ultimo Tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci, che dal 21 maggio tornerà in oltre cento sale cinematografiche italiane.
Il grande evento è stato anticipato stamattina da un'anteprima dell'anteprima; la pellicola è stata proiettata al multicinema Galleria solo per la stampa accreditata, alla presenza di Bernardo Bertolucci, che poi ha tenuto al Petruzzelli una master class su "Strategia del Ragno" e in generale sul suo cinema.
Se tutti o quasi conoscono il celebre film del maestro, da scoprire e gustare sono le perle che regala la nuova versione restaurata, prodotta e distribuita dal Centro Sperimentale di Cinematografia–Cineteca Nazionale. A cominciare dal sonoro: le voci originali di Marlon Brando e Maria Schneider permettono di apprezzare trama e intreccio in tutta la portata drammatica del loro sviluppo, abbattendo all'origine il filtro imposto dal doppiaggio in italiano che inevitabilmente fa perdere per strada molto del pathos di cui la pellicola si nutre, attraverso la sapiente alternanza di dialoghi in francese e inglese.
«Ho rivisto "Ultimo Tango a Parigi" dopo moltissimi anni - dice Bertolucci nella conferenza stampa tenuta alla fine della proiezione - e l'impressione che ho avuto rivedendolo oggi è di un film finito da pochissimo tempo. Questa copia restaurata mi sembra molto bella, arricchita da una naturale patina vintage. Ricordo che nel 1972 abbiamo scritto, preparato, montato e fatto uscire tutto tra gennaio e agosto. Rivederlo oggi è una forte emozione. Sono grato al Centro Sperimentale che ha avuto l'idea di restaurare questo film».
Assistendo alla proiezione della versione restaurata, però, il maestro non sembra esser rimasto immune dal desiderio di «Rimettere mani su quello che ho fatto. Per esempio, abbrevierei le parti dei due fidanzati giovani (Maria Schneider e Jean-Pierre Léaud, NdR), che mi sembrano un po' raccontate. Ricordo che all'epoca feci questa scelta per far avvertire ancora di più la nostalgia che traspare dal personaggio di Marlon Brando».
Tante sono le curiosità legate a questo film, a cominciare dalla scelta del cast: «Provai a chiedere di recitare nel ruolo di protagonista a Jean-Paul Belmondo, il quale però mi cacciò dicendo che non faceva porno - racconta Bertolucci col sorriso. Mi rivolsi quindi ad Alain Delon, che però voleva essere produttore del film che aveva capito sarebbe andato su terreni inesplorati. Quella di Marlon Brando non fu una mia idea: cenando a piazza Navona qualcuno mi chiese di lui, sapendo che era sparito dalle scene già da un po'. Quando lo incontrai a Parigi ricordo che mi intimidì moltissimo. Gli raccontai la storia in un minuto e mezzo con un inglese improbabile, e poi andammo in una saletta lì vicino a vedere "Il Conformista". Lì capii che le cose sarebbero andate per il verso giusto. Tutti i giorni nella sua casa di Los Angeles parlavamo di qualsiasi cosa, ma mai del film: una cosa da cui capii che Marlon non aveva alcun tipo di pregiudizio. Durante le riprese, poi, fu una vera pacchia: un film pieno di dolore, la storia di un personaggio disperato che va verso un destino triste, ma a ogni ciack c'era una grande armonia tra tutti. Ricordo, però, che Léaud tremava al solo nome di Brando; forse è per questo che sul set ha fatto in modo di non incontrarlo mai».
«Brando era consapevole di quel che era la sua aura; per questo manteneva sempre un basso profilo - continua Berolucci. Era molto paterno e protettivo con Maria Schneider, avevano un rapporto molto buono e armonioso anche se lei era a tutti gli effetti una esordiente. Lui era famoso per non avere memoria. Quando Maria gli dava la battuta si appiccicava sulla fronte tutto il dialogo. Nella scena in cui parla davanti alla moglie morta c'era un grande gobbo nero su cui lui si era scritto dei momenti di quel monologo. Non so, però, se fosse mancanza di memoria oppure proprio un suo peculiare modo di lavorare».
Da tutti riconosciuto come un capolavoro assoluto, "Ultimo Tango a Parigi" all'epoca fece scandalo per le scene "hot" e i nudi, fino a essere bandito dalle sale italiane. «Stavo lavorando al mixaggio di "Novecento" quando la Cassazione emise la sentenza di rogo per il film e due mesi di carcere per me e Brando con condizionale - ricorda il maestro. Ovviamente non finii in galera, ma persi per cinque anni il diritto di voto. Oggi questo fa impressione, perché quella censura per fortuna non c'è più; ma io vi parlo di una Italia diversa».
Nel 1972 erano ancora freschi i ricordi delle sollevazioni giovanili del 1968-'69. A cinquant'anni da quegli eventi si può guardare allo strascico che hanno lasciato nell'arte e nella cultura con più lucidità e distacco: «Ripensandoci oggi, quel momento in me ha liberato certe forze, mi ha permesso di andare dal cinema di "autoconfessione" verso un cinema più aperto, più dialogante con il pubblico. Credo che il più grande cambiamento sia la capacità di buttare giù i muri. Quando realizzi un pezzo d'arte il caos prende forma. Il processo è sempre lo stesso: iniziare dal caos per arrivare all'ordine».
Il grande evento è stato anticipato stamattina da un'anteprima dell'anteprima; la pellicola è stata proiettata al multicinema Galleria solo per la stampa accreditata, alla presenza di Bernardo Bertolucci, che poi ha tenuto al Petruzzelli una master class su "Strategia del Ragno" e in generale sul suo cinema.
Se tutti o quasi conoscono il celebre film del maestro, da scoprire e gustare sono le perle che regala la nuova versione restaurata, prodotta e distribuita dal Centro Sperimentale di Cinematografia–Cineteca Nazionale. A cominciare dal sonoro: le voci originali di Marlon Brando e Maria Schneider permettono di apprezzare trama e intreccio in tutta la portata drammatica del loro sviluppo, abbattendo all'origine il filtro imposto dal doppiaggio in italiano che inevitabilmente fa perdere per strada molto del pathos di cui la pellicola si nutre, attraverso la sapiente alternanza di dialoghi in francese e inglese.
«Ho rivisto "Ultimo Tango a Parigi" dopo moltissimi anni - dice Bertolucci nella conferenza stampa tenuta alla fine della proiezione - e l'impressione che ho avuto rivedendolo oggi è di un film finito da pochissimo tempo. Questa copia restaurata mi sembra molto bella, arricchita da una naturale patina vintage. Ricordo che nel 1972 abbiamo scritto, preparato, montato e fatto uscire tutto tra gennaio e agosto. Rivederlo oggi è una forte emozione. Sono grato al Centro Sperimentale che ha avuto l'idea di restaurare questo film».
Assistendo alla proiezione della versione restaurata, però, il maestro non sembra esser rimasto immune dal desiderio di «Rimettere mani su quello che ho fatto. Per esempio, abbrevierei le parti dei due fidanzati giovani (Maria Schneider e Jean-Pierre Léaud, NdR), che mi sembrano un po' raccontate. Ricordo che all'epoca feci questa scelta per far avvertire ancora di più la nostalgia che traspare dal personaggio di Marlon Brando».
Tante sono le curiosità legate a questo film, a cominciare dalla scelta del cast: «Provai a chiedere di recitare nel ruolo di protagonista a Jean-Paul Belmondo, il quale però mi cacciò dicendo che non faceva porno - racconta Bertolucci col sorriso. Mi rivolsi quindi ad Alain Delon, che però voleva essere produttore del film che aveva capito sarebbe andato su terreni inesplorati. Quella di Marlon Brando non fu una mia idea: cenando a piazza Navona qualcuno mi chiese di lui, sapendo che era sparito dalle scene già da un po'. Quando lo incontrai a Parigi ricordo che mi intimidì moltissimo. Gli raccontai la storia in un minuto e mezzo con un inglese improbabile, e poi andammo in una saletta lì vicino a vedere "Il Conformista". Lì capii che le cose sarebbero andate per il verso giusto. Tutti i giorni nella sua casa di Los Angeles parlavamo di qualsiasi cosa, ma mai del film: una cosa da cui capii che Marlon non aveva alcun tipo di pregiudizio. Durante le riprese, poi, fu una vera pacchia: un film pieno di dolore, la storia di un personaggio disperato che va verso un destino triste, ma a ogni ciack c'era una grande armonia tra tutti. Ricordo, però, che Léaud tremava al solo nome di Brando; forse è per questo che sul set ha fatto in modo di non incontrarlo mai».
«Brando era consapevole di quel che era la sua aura; per questo manteneva sempre un basso profilo - continua Berolucci. Era molto paterno e protettivo con Maria Schneider, avevano un rapporto molto buono e armonioso anche se lei era a tutti gli effetti una esordiente. Lui era famoso per non avere memoria. Quando Maria gli dava la battuta si appiccicava sulla fronte tutto il dialogo. Nella scena in cui parla davanti alla moglie morta c'era un grande gobbo nero su cui lui si era scritto dei momenti di quel monologo. Non so, però, se fosse mancanza di memoria oppure proprio un suo peculiare modo di lavorare».
Da tutti riconosciuto come un capolavoro assoluto, "Ultimo Tango a Parigi" all'epoca fece scandalo per le scene "hot" e i nudi, fino a essere bandito dalle sale italiane. «Stavo lavorando al mixaggio di "Novecento" quando la Cassazione emise la sentenza di rogo per il film e due mesi di carcere per me e Brando con condizionale - ricorda il maestro. Ovviamente non finii in galera, ma persi per cinque anni il diritto di voto. Oggi questo fa impressione, perché quella censura per fortuna non c'è più; ma io vi parlo di una Italia diversa».
Nel 1972 erano ancora freschi i ricordi delle sollevazioni giovanili del 1968-'69. A cinquant'anni da quegli eventi si può guardare allo strascico che hanno lasciato nell'arte e nella cultura con più lucidità e distacco: «Ripensandoci oggi, quel momento in me ha liberato certe forze, mi ha permesso di andare dal cinema di "autoconfessione" verso un cinema più aperto, più dialogante con il pubblico. Credo che il più grande cambiamento sia la capacità di buttare giù i muri. Quando realizzi un pezzo d'arte il caos prende forma. Il processo è sempre lo stesso: iniziare dal caos per arrivare all'ordine».