Enti locali
Inaugurazione dell'anno giudiziario a Bari, Decaro: «Meritavate un monumento, avete avuto una tenda»
Il sindaco alla cerimonia: «Continuerò a battermi per a risoluzione del problema relativo all'edilizia»
Bari - sabato 26 gennaio 2019
15.27 Comunicato Stampa
In tutta Italia oggi si è celebrata l'inaugurazione dell'anno giudiziario. Anche a Bari si è tenuta la cerimonia presso la corte d'appello di piazza De Nicola. Un momento particolarmente sentito, alla luce del dramma che la giustizia barese continua a vivere per via di un'edilizia giudiziaria insoddisfacente per i bisogni del tribunale e della Procura.
Alla cerimonia ha partecipato anche il sindaco di Bari, Antonio Decaro, che nel suo discorso si è concentrato sul problema: «Mentre cercavo le parole per questo discorso, ho pensato a quali fossero quelle più giuste per trasferirvi lo stato d'animo di un sindaco che ha assistito nell'anno appena trascorso, forse il più brutto per la giustizia barese, allo svilimento di quella funzione che io ritengo centrale e fondamentale per la tenuta di una comunità. Tale mia convinzione è ancor più vera e sentita per una città come Bari dove, oggi, grazie alla vostra azione sono sempre più ampie le zone del territorio sottratte al controllo della criminalità organizzata e sono sempre più i cittadini liberi dal giogo del sopruso e della illegalità. Avreste meritato un monumento e invece vi è stata data una tenda! Allora mi è venuta in mente una frase di Sant' Agostino che un altro sindaco prima di me ha utilizzato qualche anno fa in occasione di una tragedia, ad Andria non lontano da Bari: " La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle." Lo sdegno è quello che abbiamo provato noi tutti, cittadini e operatori delle istituzioni davanti a quelle tende e a quella situazione che, per chi c'era come noi, sembrava surreale. Il coraggio, è quello, invece, che avete dimostrato voi. Sotto quelle tende c'era un foglietto di carta, attaccato con lo scotch ad una scrivania. C'era scritto la legge è uguale per tutti. E voi lo avete dimostrato, nonostante le difficoltà, nonostante i mesi travagliati che avete affrontato con grande professionalità e con grande dignità non avete mai fatto venir meno la vostra presenza, il vostro lavoro, la vostra azione. Avete indossato la toga sotto una tenda con la calura estiva, con la polvere, con la pioggia, con i piedi nel fango. E mai avete fatto venire meno il senso e l'azione della giustizia nella nostra città. Io da parte mia, ho cercato di fare quanto nelle mie possibilità, anche assumendomi l'irresponsabilità, come l'ha definita qualcuno, di firmare un'ordinanza per dare il tempo di individuare le soluzioni più congrue ed opportune e nel frattempo evitare la paralisi completa. Questo è stato coraggio? No. Io credo soltanto di aver fatto il mio dovere. Ma questo fa parte del lavoro dei sindaci che sulla base dell'esperienza hanno l'obbligo di guardare, oltre il contingente, oltre la scadenza del loro mandato, oltre le loro strette competenze, oltre l'annuncio elettorale. Per questo continuerò a battermi perché la soluzione al problema dell'edilizia giudiziaria sia innanzitutto definitiva e poi dignitosa e decorosa sia per la funzione che deve ospitare che per chi ci deve lavorare. Stiamo solo chiedendo quello che ci spetta: Bari merita una sede unica per l'amministrazione della giustizia. Abbiamo lavorato insieme alla conferenza permanente per individuare una area pubblica idonea alla realizzazione di una sede unica e definitiva per la Giustizia. Abbiamo dato la nostra disponibilità in termini di risorse umane ed economiche, la Città metropolitana aha messo a disposizione circa trecento mila euro per la progettazione, abbiamo cercato un'interlocuzione con il ministero, sempre, con chiunque abbia occupato quel ruolo e continueremo a farlo perché siamo convinti che questo sia un nostro diritto e un nostro dovere. Perché se è vero, come diceva un grande studioso francese, che la giustizia non può esistere al di là dei suoi simboli, così come il diritto non può fare a meno delle sue forme, l'istituzione giudiziaria deve avere una sede di lavoro che costituisca un simbolo di legalità. Avere a Bari una giustizia che funziona e che svolge il suo lavoro al meglio delle sue possibilità significa avere una comunità che cresce libera, civile, e unita. Significa avere una comunità che si prende cura di se stessa e che riconosce il valore di uno sbaglio, l'importanza di una denuncia e soprattutto il senso della pena. Anche su questo è nostro dovere dire parole chiare che però non siano parole "cattive" perché una comunità cresce se si recuperano le parole: cura, ricucitura, stare insieme, opportunità. Qualche giorno fa, il giorno dell'epifania sono stato nell'istituto di detenzione minorile di Bari per la consegna delle tute ai ragazzi. Un dono che l'amministrazione comunale fa in occasione delle feste. Con quei ragazzi, ci siamo fermati a parlare come facciamo sempre. Ho chiesto loro l'età, la provenienza, che cosa avessero fatto per essere lì. Mentre discutevamo, uno sguardo ha catturato la mia attenzione. Ho notato qualcosa in quegli occhi che mi sembravano familiari e mi sono accorto che era proprio lui. Il ragazzo arrestato un anno fa per un'estorsione. Era il ragazzo denunciato per aver tentato di estorcere dei soldi all'impresa che aveva allestito il grande albero di Natale in piazza Ferrarese. A quel ragazzo ho chiesto se mi avesse riconosciuto e se sapeva che ero stato io a convincere l'impresa a denunciare quella estorsione. Lui mi ha risposto di si e io gli ho chiesto: E non ce l'hai con me? No, mi ha risposto, lei ha fatto quello che doveva fare. Questa risposta mi ha raggelato. Perché è stato proprio così, denunciare quel ragazzo era quello che dovevo fare, era il mio dovere. Ma realizzare di essere stato il responsabile della reclusione di un ragazzo che potrebbe avere l'età di mia figlia, mi ha fatto sentire il cuore pesante. Quel giorno ho dato un volto a quel nome, uno sguardo, un corpo da uomo, troppo da uomo, per un ragazzo di quell'età. Perché l'età di quel ragazzo è quella in cui, quando si sbaglia, non è mai soltanto colpa tua. È anche colpa nostra. Non solo della famiglia ma anche del sindaco, della scuola, della comunità in cui sei cresciuto. Spero che dopo lo sdegno da parte di tutti noi per l'estorsione all'albero di Natale ci sia il coraggio da parte nostra di capire che è anche colpa nostra e che è compito nostro aiutare qual ragazzo e tutti i ragazzi che sbagliano a rimettersi in gioco. Oggi la vita di quel ragazzo è chiusa tra quelle quattro mura, ha già perso un anno di amici, affetti, di lavoro. È nostro dovere lottare contro chi pensa che il destino di quel ragazzo sia segnato solo per via di un cognome o del quartiere dove è cresciuto. In cuor mio spero che quella denuncia, che mi pesa così tanto, segni per lui l'inizio di una vita diversa da quella che è stata fino ad oggi e mi auguro che insieme riusciremo a prenderci cura anche degli altri dieci, cento ragazzi che purtroppo sono a rischio. A loro io vorrei parlare del senso della Giustizia, del vostro lavoro, delle regole da rispettare ma anche della vita e delle opportunità che possiamo crearci».
Alla cerimonia ha partecipato anche il sindaco di Bari, Antonio Decaro, che nel suo discorso si è concentrato sul problema: «Mentre cercavo le parole per questo discorso, ho pensato a quali fossero quelle più giuste per trasferirvi lo stato d'animo di un sindaco che ha assistito nell'anno appena trascorso, forse il più brutto per la giustizia barese, allo svilimento di quella funzione che io ritengo centrale e fondamentale per la tenuta di una comunità. Tale mia convinzione è ancor più vera e sentita per una città come Bari dove, oggi, grazie alla vostra azione sono sempre più ampie le zone del territorio sottratte al controllo della criminalità organizzata e sono sempre più i cittadini liberi dal giogo del sopruso e della illegalità. Avreste meritato un monumento e invece vi è stata data una tenda! Allora mi è venuta in mente una frase di Sant' Agostino che un altro sindaco prima di me ha utilizzato qualche anno fa in occasione di una tragedia, ad Andria non lontano da Bari: " La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle." Lo sdegno è quello che abbiamo provato noi tutti, cittadini e operatori delle istituzioni davanti a quelle tende e a quella situazione che, per chi c'era come noi, sembrava surreale. Il coraggio, è quello, invece, che avete dimostrato voi. Sotto quelle tende c'era un foglietto di carta, attaccato con lo scotch ad una scrivania. C'era scritto la legge è uguale per tutti. E voi lo avete dimostrato, nonostante le difficoltà, nonostante i mesi travagliati che avete affrontato con grande professionalità e con grande dignità non avete mai fatto venir meno la vostra presenza, il vostro lavoro, la vostra azione. Avete indossato la toga sotto una tenda con la calura estiva, con la polvere, con la pioggia, con i piedi nel fango. E mai avete fatto venire meno il senso e l'azione della giustizia nella nostra città. Io da parte mia, ho cercato di fare quanto nelle mie possibilità, anche assumendomi l'irresponsabilità, come l'ha definita qualcuno, di firmare un'ordinanza per dare il tempo di individuare le soluzioni più congrue ed opportune e nel frattempo evitare la paralisi completa. Questo è stato coraggio? No. Io credo soltanto di aver fatto il mio dovere. Ma questo fa parte del lavoro dei sindaci che sulla base dell'esperienza hanno l'obbligo di guardare, oltre il contingente, oltre la scadenza del loro mandato, oltre le loro strette competenze, oltre l'annuncio elettorale. Per questo continuerò a battermi perché la soluzione al problema dell'edilizia giudiziaria sia innanzitutto definitiva e poi dignitosa e decorosa sia per la funzione che deve ospitare che per chi ci deve lavorare. Stiamo solo chiedendo quello che ci spetta: Bari merita una sede unica per l'amministrazione della giustizia. Abbiamo lavorato insieme alla conferenza permanente per individuare una area pubblica idonea alla realizzazione di una sede unica e definitiva per la Giustizia. Abbiamo dato la nostra disponibilità in termini di risorse umane ed economiche, la Città metropolitana aha messo a disposizione circa trecento mila euro per la progettazione, abbiamo cercato un'interlocuzione con il ministero, sempre, con chiunque abbia occupato quel ruolo e continueremo a farlo perché siamo convinti che questo sia un nostro diritto e un nostro dovere. Perché se è vero, come diceva un grande studioso francese, che la giustizia non può esistere al di là dei suoi simboli, così come il diritto non può fare a meno delle sue forme, l'istituzione giudiziaria deve avere una sede di lavoro che costituisca un simbolo di legalità. Avere a Bari una giustizia che funziona e che svolge il suo lavoro al meglio delle sue possibilità significa avere una comunità che cresce libera, civile, e unita. Significa avere una comunità che si prende cura di se stessa e che riconosce il valore di uno sbaglio, l'importanza di una denuncia e soprattutto il senso della pena. Anche su questo è nostro dovere dire parole chiare che però non siano parole "cattive" perché una comunità cresce se si recuperano le parole: cura, ricucitura, stare insieme, opportunità. Qualche giorno fa, il giorno dell'epifania sono stato nell'istituto di detenzione minorile di Bari per la consegna delle tute ai ragazzi. Un dono che l'amministrazione comunale fa in occasione delle feste. Con quei ragazzi, ci siamo fermati a parlare come facciamo sempre. Ho chiesto loro l'età, la provenienza, che cosa avessero fatto per essere lì. Mentre discutevamo, uno sguardo ha catturato la mia attenzione. Ho notato qualcosa in quegli occhi che mi sembravano familiari e mi sono accorto che era proprio lui. Il ragazzo arrestato un anno fa per un'estorsione. Era il ragazzo denunciato per aver tentato di estorcere dei soldi all'impresa che aveva allestito il grande albero di Natale in piazza Ferrarese. A quel ragazzo ho chiesto se mi avesse riconosciuto e se sapeva che ero stato io a convincere l'impresa a denunciare quella estorsione. Lui mi ha risposto di si e io gli ho chiesto: E non ce l'hai con me? No, mi ha risposto, lei ha fatto quello che doveva fare. Questa risposta mi ha raggelato. Perché è stato proprio così, denunciare quel ragazzo era quello che dovevo fare, era il mio dovere. Ma realizzare di essere stato il responsabile della reclusione di un ragazzo che potrebbe avere l'età di mia figlia, mi ha fatto sentire il cuore pesante. Quel giorno ho dato un volto a quel nome, uno sguardo, un corpo da uomo, troppo da uomo, per un ragazzo di quell'età. Perché l'età di quel ragazzo è quella in cui, quando si sbaglia, non è mai soltanto colpa tua. È anche colpa nostra. Non solo della famiglia ma anche del sindaco, della scuola, della comunità in cui sei cresciuto. Spero che dopo lo sdegno da parte di tutti noi per l'estorsione all'albero di Natale ci sia il coraggio da parte nostra di capire che è anche colpa nostra e che è compito nostro aiutare qual ragazzo e tutti i ragazzi che sbagliano a rimettersi in gioco. Oggi la vita di quel ragazzo è chiusa tra quelle quattro mura, ha già perso un anno di amici, affetti, di lavoro. È nostro dovere lottare contro chi pensa che il destino di quel ragazzo sia segnato solo per via di un cognome o del quartiere dove è cresciuto. In cuor mio spero che quella denuncia, che mi pesa così tanto, segni per lui l'inizio di una vita diversa da quella che è stata fino ad oggi e mi auguro che insieme riusciremo a prenderci cura anche degli altri dieci, cento ragazzi che purtroppo sono a rischio. A loro io vorrei parlare del senso della Giustizia, del vostro lavoro, delle regole da rispettare ma anche della vita e delle opportunità che possiamo crearci».