juan martin guevara libreria prinz zaum
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Eventi e cultura

Juan Martìn Guevara alla libreria Prinz Zaum di Bari: «Più nessuno come il Che»

Il fratello del Comandante presenta il suo libro: «Ernesto, fratello di sangue e d’ideali»

Bari come L'Havana, almeno per un pomeriggio: si è tenuta venerdì 1 dicembre, presso il caffè-libreria Prinz Zaum (via Cardassi, 87) la presentazione del libro "Il Che. Mio Fratello", scritto dal fratello del famoso Comandante Che Guevara, Juan Martìn Guevara, insieme alla giornalista francese Armelle Vincent, pubblicato in Italia da Giunti Editore.

Un momento di approfondimento sulla vita del rivoluzionario argentino, uno dei personaggi più influenti del '900 che con il suo sacrificio ha aperto la strada a una lunga stagione di lotte per l'eguaglianza sociale e politica delle classi meno abbienti, schiacciate dalla superbia dei padroni e dei dittatori. Ma è stata anche un'occasione per tratteggiare un quadro più intimo e personale di Ernesto Guevara, per inquadrare l'uomo dietro il mito senza tempo. «Tutto è iniziato nel 2009 – spiega Juan Martìn Guevara -, quando tre personaggi a capo di altrettante importanti istituzioni argentine hanno avuto l'idea di approfondire gli aspetti più personali della vita di mio fratello. Dal dialogo con la gente ho capito che tutti conoscevano il mito del Che, ma che quasi nessuno era riuscito a comprenderne l'opera e il pensiero. Questa è stata la scintilla che ha dato il via al percorso terminato con la pubblicazione di questo libro, tradotto in ben undici lingue».

Dal rapporto con i genitori ai ricordi personali che Juan Martìn conserva di Ernesto: la discussione intorno al Che si arricchisce con questo libro di dettagli, aneddoti e curiosità che ci aiutano ad apprezzare ancor di più un uomo straordinario come fu il Comandante Guevara. «Tra me ed Ernesto – continua Juan Martìn – c'erano ben quindici anni di differenza. Lui, comunque, non è mai stato un fratello autoritario, sebbene avesse preso da nostra madre la rigidità e l'attitudine a portare a termine ogni suo progetto. Nessuno di noi, però, credeva che il nostro "Ernestito" sarebbe diventato "El Che"; è stato un esempio che tutti abbiamo ammirato. Lui per me non è mai stato semplicemente un fratello, ma anche e soprattutto un compagno d'ideali fin da quando ero bambino. La stessa cosa è stata per mia madre, che di Ernesto non era solo genitrice ma anche compagna di lotta».

Quella del Che è stata una vita avventurosa, contraddistinta da lotte d'inestimabile valore in favore dei più deboli e incastonata nella leggenda da una morte eroica, lottando per la liberazione del popolo boliviano. «La mattina del 10 ottobre 1967 ero uscito a consegnare i giornali come sempre – racconta Guevara illustrando i retroscena della morte di Ernesto e di come la apprese la famiglia – quando in prima pagina vidi la foto di mio fratello accompagnata dalla notizia della sua morte in Bolivia. Mio fratello maggiore, Roberto (di mestiere avvocato) si recò immediatamente a La Paz per il riconoscimento, ma lì scoprì che il corpo era andato smarrito. Fu solo in un secondo momento che l'amico Fidel Castro ci fornì delle prove incontrovertibili sulla morte di Ernesto. L'ultimo incontro che ebbe tutta la famiglia al completo con il Che risale addirittura al '59; io l'ho visto vivo per l'ultima volta nel '61. Solo mia madre lo rivide successivamente in alcuni suoi viaggi a L'Havana».

Ricostruzioni storiche ma anche note di colore nella conversazione con Juan Martìn, che racconta un simpatico retroscena tra suo fratello e il "Leader Maximo" di Cuba: «Tutti conoscono il celebre motto del Che "Hasta la Victoria Siempre". In realtà Ernesto era solito concludere le sue lettere a Castro con la frase "Hasta la Victoria, Siempre Patria o Muerte". L'unico errore che ha commesso Fidel nella sua vita – scherza Juan Martìn - è stato omettere quella virgola, ma senza questa "felix culpa" oggi non avremmo lo slogan che meglio descrive la vita e il pensiero del Comandante Guevara».

Quello del Che, dunque, è un esempio rimasto vivo in milioni di giovani rivoluzionari, tra cui proprio Juan Martìn, che negli anni '70 fu vittima delle rappresaglie operate dal dittatore argentino Jorge Videla. Un'esperienza di vita e di lotta all'insegna degli ideali di Ernesto "Che" Guevara: «Eravamo già all'epoca a conoscenza di come le epurazioni durante la dittatura militare in Argentina fossero particolarmente violente – ricorda Juan Martìn. Nessuno, però, aveva la netta percezione del fenomeno dei "desaparecidos"; il governo militare riusciva molto bene nell'intento di far disperdere nel nulla le tracce dei suoi oppositori. Col senno di poi, sono stato veramente fortunato a essere un prigioniero schedato, altrimenti sarei scomparso anche io. Dei giorni del carcere ricordo che l'esempio di mio fratello diede a tutti noi rivoluzionari e oppositori la forza e il coraggio di resistere e di uscirne vivi».

Il dialogo con Juan Martìn Guevara rappresenta, inoltre, un'irripetibile opportunità di avere un quadro più preciso della personalità dell'attuale Papa, Francesco, che già negli anni di Videla iniziava la sua carriera di alto prelato nella chiesa cattolica argentina ancora con il nome di Jorge Bergoglio. «Quella di Francesco – dice Guevara – era già all'epoca una posizione differente rispetto al resto della chiesa cattolica sudamericana, da sempre vicina a posizioni di estrema destra, più o meno come è differente ora dalle posizioni del suo predecessore Ratzinger. In quei giorni, comunque, la dittatura militare non fu tenera nemmeno con gli ecclesiastici che vi si opponevano: tra gli scomparsi ci furono anche diversi vescovi e preti».

Un gancio con l'attualità che, inevitabilmente, fa sorgere una domanda: ci può essere, al giorno d'oggi, un nuovo Che Guevara? La risposta di Juan Martìn sembra lasciare poco spazio ai dubbi: «È difficile definirsi "comunista" oggi, quando, ad esempio, il governo comunista cinese in realtà esprime una delle prime potenze capitaliste del mondo. Che senso ha definirsi socialista? Basta guardare il socialismo francese di Macron per capire che gli ideali sono stati completamente assoggettati agli interessi. Io, da parte mia, mi definisco marxista, leninista e – perdonate la modestia – guevarista».

In un mondo che ha perso la bussola degli orientamenti ideologico-politici, la figura del Che rappresenta un faro a guida delle coscienze più che un modello da provare a imitare. «Al mondo sono due le icone più note: quella di Gesù Cristo e quella del Che. Il primo prometteva la vita dopo la morte, il secondo ha lottato ed è morto per la vita durante la vita. Ecco perché non parlo mai di speranza, ma sempre e solo di fiducia», conclude Juan Martìn Guevara.
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