luciana carbonara
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Eventi e cultura

La cantante barese Luciana Carbonara a BariViva: «All’estero sanno apprezzare l’artista»

Una lunga chiacchierata, tra episodi di vita vissuta e scenari della musica locale

Si può vivere di musica in un momento storico in cui tutto sembra essere liquido e anche le esperienze e i valori artistici devono cedere il passo alla fredda legge dei numeri? In molti risponderebbero di no, ma fortunatamente ci sono dei validi esempi di persone piene di talento e buona volontà che ci raccontano di come la musica e l'arte possano essere ancora oggi considerate un lavoro, a tutti i livelli.

Una di queste è la cantante barese Luciana Carbonara, che in quasi venticinque anni di carriera ha visto con i propri occhi cambiare il modo di fruire il prodotto musicale, e con grande versatilità e intelligenza è riuscita a fare del suo talento (affinato con anni di studio e impegno certosino) non solo una passione ma anche un bellissimo mestiere, svolto sempre col sorriso e a cuor leggero.

L'abbiamo incontrata per farci raccontare le sue esperienze e per avere un termometro più che attendibile della situazione dell'arte nella nostra Puglia, comparata con altre realtà più vivaci e mobili.

Salve Luciana. Ci racconti come ha mosso i suoi primi passi nella musica.

Fin da bambina la musica ha esercitato su di me un grande fascino; mi divertivo con mio padre a cantare in macchina i brani del suo amato Elvis, seppure in un inglese maccheronico. Crescendo ho continuato a sentire il bisogno di esprimermi attraverso la musica, nonostante fossi una persona piuttosto introversa, e ho iniziato a prendere lezioni di canto e a studiare la musica insieme alle materie scolastiche. La mia fortuna è stata incontrare in un locale, una sera in cui ero uscita con i miei amici, un cantante/musicista professionista che mi sentì cantare in quell'occasione e volle intraprendere una collaborazione con me. All'età di sedici anni fu per me una grande opportunità: con lui ho iniziato fin da subito a cantare in posti molto belli, proseguendo in un sodalizio musicale ultra ventennale, che ci ha portato ovunque in Puglia e anche all'estero, a Monaco di Baviera nello specifico.

Lei è un'autorità della lounge music. Nel vostro repertorio si ascolta dal jazz al funk, dal pop alla dance, dal rock al soul. Quali sono gli artisti cui s'ispira maggiormente?

Io sono essenzialmente una cantante pop, e ho una particolare propensione per la musica internazionale. Mi è capitato di scrivere dei brani in inglese, alcuni dei quali sono stati anche resi editi: ho collaborato anche con il musicista e produttore Luigi Rana, che ha scritto tra le altre cose il brano che valse a Mario Rosini il secondo posto a San Remo 2004. Gli artisti cui mi ispiro sono tanti, a cominciare da Mariah Carey, che ha avuto il suo boom negli anni '90, quando io ho iniziato con la musica, anche se negli ultimi anni ha preferito puntare più sul fisico che sulla musica. Tra le altre voci femminili che particolarmente apprezzo ci sono Whitney Houston, Mary J. Blidge e Alicia Keys, e nel panorama italiano mi piacciono molto Elisa e Giorgia, voci pulite ma che hanno un calore enorme. Parlando di artisti maschili, apprezzo molto Michael Bolton, Elton John e John Legend come artista del momento.

Una scuderia di "cavalli di razza"…

Sono veramente tanti gli artisti che mi piacciono e da cui prendo ispirazione. La bellezza della musica sta nel fatto che ogni artista ha la sua particolarità. È molto difficile stabilire chi sia il numero uno, perché non conta solo il livello tecnico, ma anche la timbirica, l'espressività e la capacità di trasmettere all'ascoltatore quello che si sta cantando.

La scaletta perfetta per un'esibizione di musica d'ambiente quanto di "ascolto" e quanto di "danzereccio" deve tenere dentro?

Secondo me una performance live che voglia catturare l'attenzione del pubblico senza fare la fatidica pausa deve durare tra i 90 e i 120 minuti. Di solito la prima mezz'ora è il momento in cui si stabilisce un contatto con il pubblico: a me piace partire con brani lounge riarrangiati, andando a salire di dinamica e intensità, fino ad arrivare all'esecuzione di brani dance, pop, house e così via. Solitamente serate del genere prevedono l'intervento di un deejay in coda all'esibizione live, quindi il nostro compito è fargli trovare già la pista piena e calda. Per molti anni ho lavorato in diversi e famosi club di Bari e provincia oltre che per feste private o eventi esclusivi, quindi io e il mio gruppo abbiamo sempre cercato di proporre scalette adatte ai contesti.

Quanto è difficile oggigiorno vivere con la propria musica?

I tempi oggi sono cambiati rispetto a quando ho iniziato io. Tramite i talent, i contest e i reality molte persone in più si sono avvicinate alla musica e di conseguenza le band sono diventate veramente tantissime. La cosa positiva è, però, che questi gruppi nella maggior parte dei casi suonano solo un genere musicale, magari seguendo le mode del momento. Chi, come me, ha studiato per essere un artista versatile e poliedrico può cantare bene dal jazz allo swing, dal pop alla house, dal rock alla dance, e quindi ha uno spettro di possibilità più ampio rispetto a chi rimane immobile su un genere o addirittura su un singolo cantante di riferimento. Vivere di musica, comunque, non è facile: io, per esempio, ho dovuto diversificare molto le mie attività. In Puglia gli artisti vivono esclusivamente nella stagione estiva, da giugno a settembre, e il resto dell'anno è veramente nero. Molti musicisti spesso fanno altro nella vita; io ho scelto di fare musica come lavoro, e così negli ultimi anni ho deciso di partire sulle navi da crociera, perché lì le possibilità sono molte di più che sulla terraferma.

Lei ha suonato anche all'estero nel suo periodo di formazione artistica. Ci sono delle differenze rispetto all'Italia nella cultura e nella fruizione del prodotto musicale?

Posso parlare di quello che ho sperimentato stando sei mesi in una città bella e signorile come Monaco di Baviera, dove ogni sera per me c'era la possibilità di lavorare in un club diverso, una cosa impensabile per una ragazza di diciott'anni. Ho notato che i tedeschi ti sanno apprezzare come artista: a qualsiasi brano eseguissi corrispondeva un applauso, una stretta di mano, un complimento. La cosa più gratificante che noti lì è che mentre sei sul palco la gente riesce a percepirti come una persona che sta lavorando, a differenza di quello che succede qui, dove in molti quando canti fanno richieste, ti parlano o comunque mostrano una sgradevole mancanza di rispetto per quello che stai facendo. Una cosa che ho notato anche lavorando sulle navi: la differenza tra i salotti frequentati da inglesi, tedeschi, svizzeri eccetera è veramente sensibile rispetto a quelli in cui trovi una maggioranza di italiani. Per questo non escludo la possibilità in futuro di cambiare aria. Fortunatamente non tendo a mettere radici: sto bene lì dove mi fanno stare bene.

Ultima domanda: i tre dischi che porterebbe con sé su un'isola deserta.

Porterei sicuramente con me il "Greatest Hits" di Michael Bolton, un artista che adoro per la presenza dei tanti cori femminili nei suoi brani. Gli altri due sono "Day Dream" di Mariah Carey e "Falling Into You" di Cèline Dion. A livello di band apprezzo molto gli Earth Wind and Fire, i Toto, i Chicago: artisti degli anni '70 che riescono a essere attuali anche oggi.
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