Cronaca
Palermiti in carcere, in ginocchio il clan di Japigia: «Era il capo carismatico»
Per il gip De Salvatore, il 69enne era «autorità mafiosa sul territorio» e «ritenuto il vertice dell'omonimo clan»
Bari - martedì 13 febbraio 2024
9.37
Ferito da due colpi di pistola. Così fu gambizzato Teodoro Greco, 11 anni fa, perché s'era dimenticato dei «vecchi amici». Un caso tornato alla ribalta con l'arresto di Eugenio Palermiti, quale presunto mandante: «U 'Nonn», 69enne considerato col grado di «nona» il «capo carismatico e autorità mafiosa», è stato arrestato.
Palermiti è tornato in carcere per concorso in lesioni personali, violenza privata e atti persecutori aggravati dal metodo mafioso, secondo la misura cautelare del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Giuseppe De Salvatore. A imprimere una svolta alle indagini sono state le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia, tra cui soprattutto quelle di Domenico Milella, che quel giorno (il 20 novembre 2013) era con Filippo Mineccia in viale Japigia per colpire il 59enne.
È stato Milella, negli anni braccio destro di Palermiti, a riferire «di avere utilizzato uno scooter T-Max rubato», «di aver sparato con una pistola calibro 9» e «di aver esploso un colpo in direzione delle gambe di Greco», colpendolo «al polpaccio ed al piede». Altri colpi, poi - ha riferito agli inquirenti diretti dal pubblico ministero antimafia Fabio Buquicchio -, sono stati sparati «dall'altro lato e più dietro» per «spaventare a dovere la vittima (così come gli era stato ordinato da Palermiti)».
Questo è, perlomeno, il racconto di Milella che quel pomeriggio era con Mineccia per ferire Greco. Perché Greco «si era allontanato da Palermiti a cui era solito prestare favori, suscitando il malcontento di quest'ultimo che l'aveva accusato di essersi dimenticato» dei «vecchi amici» («Non lo stava più facendo mangiare», le parole del collaboratore) e, pertanto aveva incaricato Milella di «sparargli alle gambe appena lo avesse trovato, pure con un colpo solo, per farlo spaventare».
Ed è sempre Milella a fornire ai detective della Squadra Mobile, al comando del primo dirigente Filippo Portoghese, il movente dell'aggressione, ovvero «indurre la vittima (Palermiti avrebbe fatto in modo di far ricadere la colpa su Eugenio Fortunato, sfruttando i rapporti tesi tra quest'ultimo e Greco) a chiedere a lui aiuto per l'agguato subìto». Una ricostruzione confermata da Gianfranco Catalano e Domenico Lavermicocca, secondo cui «a fare quella porcheria» a Greco fu Palermiti.
Palermiti è accusato di atti persecutori e di violenza privata commessi verso tre aspiranti collaboratori di giustizia (Lavermicocca, Catalano e Agostino Capriati). «Le condotte - è scritto - erano dirette ad ottenere la ritrattazione delle dichiarazioni rese e l'allontanamento forzoso dei rispettivi nuclei familiari da Japigia».
Palermiti è tornato in carcere per concorso in lesioni personali, violenza privata e atti persecutori aggravati dal metodo mafioso, secondo la misura cautelare del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Giuseppe De Salvatore. A imprimere una svolta alle indagini sono state le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia, tra cui soprattutto quelle di Domenico Milella, che quel giorno (il 20 novembre 2013) era con Filippo Mineccia in viale Japigia per colpire il 59enne.
È stato Milella, negli anni braccio destro di Palermiti, a riferire «di avere utilizzato uno scooter T-Max rubato», «di aver sparato con una pistola calibro 9» e «di aver esploso un colpo in direzione delle gambe di Greco», colpendolo «al polpaccio ed al piede». Altri colpi, poi - ha riferito agli inquirenti diretti dal pubblico ministero antimafia Fabio Buquicchio -, sono stati sparati «dall'altro lato e più dietro» per «spaventare a dovere la vittima (così come gli era stato ordinato da Palermiti)».
Questo è, perlomeno, il racconto di Milella che quel pomeriggio era con Mineccia per ferire Greco. Perché Greco «si era allontanato da Palermiti a cui era solito prestare favori, suscitando il malcontento di quest'ultimo che l'aveva accusato di essersi dimenticato» dei «vecchi amici» («Non lo stava più facendo mangiare», le parole del collaboratore) e, pertanto aveva incaricato Milella di «sparargli alle gambe appena lo avesse trovato, pure con un colpo solo, per farlo spaventare».
Ed è sempre Milella a fornire ai detective della Squadra Mobile, al comando del primo dirigente Filippo Portoghese, il movente dell'aggressione, ovvero «indurre la vittima (Palermiti avrebbe fatto in modo di far ricadere la colpa su Eugenio Fortunato, sfruttando i rapporti tesi tra quest'ultimo e Greco) a chiedere a lui aiuto per l'agguato subìto». Una ricostruzione confermata da Gianfranco Catalano e Domenico Lavermicocca, secondo cui «a fare quella porcheria» a Greco fu Palermiti.
Palermiti è accusato di atti persecutori e di violenza privata commessi verso tre aspiranti collaboratori di giustizia (Lavermicocca, Catalano e Agostino Capriati). «Le condotte - è scritto - erano dirette ad ottenere la ritrattazione delle dichiarazioni rese e l'allontanamento forzoso dei rispettivi nuclei familiari da Japigia».