Cronaca
Un'esecuzione per ottenere il potere, ecco chi e perché ha ucciso Domenico Capriati a Bari
La vittima, dopo anni di prigione, stava cercando di ritornare ai vertici dell'associazione mafiosa, ma la sua morte ha stravolto gli equilibri
Bari - mercoledì 3 febbraio 2021
12.00 Comunicato Stampa
Sono Domenico Monti detto "Mimmo u'biund", 62 anni, Christian De Tullio, detto "u'acidd", 30 anni, e Maurizio Larizzi, detto "u'guf", 38enne, i tre uomini arrestati dalla polizia di Stato per l'omicidio di Domenico Capriati, avvenuto a Japigia a novembre del 2018. Tutti e tre censurati e ritenuti, in particolare Monti e Larizzi, esponenti di primo piano della famiglia mafiosa dei "Capriati".
Le indagini, delegate alla sezione criminalità organizzata della squadra mobile della Questura di Bari, sono state avviate nelle fasi immediatamente successive l'evento delittuoso ed hanno consentito di determinare movente, mandante e autori dell'omicidio, maturata nel contesto mafioso delle famiglie "Larizzi/Monti". I numerosi elementi acquisiti nel corso delle indagini hanno consentito di accertare che, a decretare la "condanna a morte" di Domenico Capriati – figura di vertice del sodalizio di tipo mafioso "Capriati" – fosse stato l'emergente pregiudicato Maurizio Larizzi, intenzionato a liberarsi di un soggetto il quale, dopo l'uscita dal carcere, al termine di un lungo periodo di detenzione, era divenuto un ostacolo per lo sviluppo e la gestione dei propri illeciti interessi, legati soprattutto ai proventi derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti.
La vittima, infatti, a seguito di un lunghissimo periodo di carcerazione, nell'intenzione di riprendere un ruolo egemone nell'ambito del clan, stava tentando di riorganizzare le fila del sodalizio di appartenenza. In tale contesto, era entrato in contrasto con altri soggetti di spicco all'interno del clan (in particolare proprio con Maurizio Larizzi e Domenico Monti). Dal canto suo, anche Larizzi aveva iniziato a ritagliarsi spazi più ampi all'interno del sodalizio mafioso ed era, pertanto, determinato a contrastare le pretese di Capriati e la sua ri-ascesa criminale, dopo la lunga carcerazione.
Dalle risultanze investigative è emerso che, a compiere l'azione di fuoco, fu un commando armato guidato dal pluripregiudicato Domenico Monti, anch'egli tornato libero dopo oltre vent'anni di reclusione per reati di mafia ed anch'egli mosso da vecchie ruggini proprio nei confronti della vittima. Per l'esecuzione dell'omicidio, Monti si avvalse della partecipazione del genero, Christian De Tullio, anch'egli censurato. In particolare, Monti e de Tullio, travisati ed armati, dopo aver atteso, nascosti nel cortile condominiale dell'abitazione di Capriati, che quest'ultimo giungesse dal Borgo Antico di Bari insieme al figlio ed alla moglie, a bordo della sua autovettura, lo avevano sorpreso sparando.
De Tullio utilizzò una pistola mitragliatrice cal. 7,65, mentre Monti in seguito al tentativo di Capriati di sfuggire ai colpi di mitraglietta fuggendo verso l'ingresso del portone dello stabile, sparò a sua volta ulteriori colpi di arma da fuoco, utilizzando una pistola cal. 9x21, colpendo la vittima al capo, quando era ormai riversa a terra. Capriati era morto il giorno seguente in ospedale.
L'omicidio è stato commesso con le modalità tipiche dell'azione mafiosa, affinché fosse chiara a tutti la portata esemplare dell'azione criminale. L'omicidio aveva portato ad una vera decapitazione dello storico clan "Capriati", portando ad uno stravolgimento degli equilibri della criminalità organizzata barese: l'accertamento dei fatti è stato, ovviamente, ostacolato dal contesto profondamente omertoso e dalla forza intimidatrice esercitata dai protagonisti, personaggi di rilevante caratura criminale.
La piattaforma indiziaria a carico degli indagati è caratterizzata sia dalle dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia che, soprattutto, dalle conversazioni dei familiari di Capriati, intercettate, e dalle conversazioni tra gli stessi indagati. Le concrete modalità della condotta e la sua progettazione in chiave punitiva, al fine di affermare l'egemonia criminale, previo studio accurato del modus operandi e dell'obiettivo da colpire ad opera dei sicari, hanno consentito di ritenere sussistente la circostanza aggravante contestata della premeditazione.
Le indagini, delegate alla sezione criminalità organizzata della squadra mobile della Questura di Bari, sono state avviate nelle fasi immediatamente successive l'evento delittuoso ed hanno consentito di determinare movente, mandante e autori dell'omicidio, maturata nel contesto mafioso delle famiglie "Larizzi/Monti". I numerosi elementi acquisiti nel corso delle indagini hanno consentito di accertare che, a decretare la "condanna a morte" di Domenico Capriati – figura di vertice del sodalizio di tipo mafioso "Capriati" – fosse stato l'emergente pregiudicato Maurizio Larizzi, intenzionato a liberarsi di un soggetto il quale, dopo l'uscita dal carcere, al termine di un lungo periodo di detenzione, era divenuto un ostacolo per lo sviluppo e la gestione dei propri illeciti interessi, legati soprattutto ai proventi derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti.
La vittima, infatti, a seguito di un lunghissimo periodo di carcerazione, nell'intenzione di riprendere un ruolo egemone nell'ambito del clan, stava tentando di riorganizzare le fila del sodalizio di appartenenza. In tale contesto, era entrato in contrasto con altri soggetti di spicco all'interno del clan (in particolare proprio con Maurizio Larizzi e Domenico Monti). Dal canto suo, anche Larizzi aveva iniziato a ritagliarsi spazi più ampi all'interno del sodalizio mafioso ed era, pertanto, determinato a contrastare le pretese di Capriati e la sua ri-ascesa criminale, dopo la lunga carcerazione.
Dalle risultanze investigative è emerso che, a compiere l'azione di fuoco, fu un commando armato guidato dal pluripregiudicato Domenico Monti, anch'egli tornato libero dopo oltre vent'anni di reclusione per reati di mafia ed anch'egli mosso da vecchie ruggini proprio nei confronti della vittima. Per l'esecuzione dell'omicidio, Monti si avvalse della partecipazione del genero, Christian De Tullio, anch'egli censurato. In particolare, Monti e de Tullio, travisati ed armati, dopo aver atteso, nascosti nel cortile condominiale dell'abitazione di Capriati, che quest'ultimo giungesse dal Borgo Antico di Bari insieme al figlio ed alla moglie, a bordo della sua autovettura, lo avevano sorpreso sparando.
De Tullio utilizzò una pistola mitragliatrice cal. 7,65, mentre Monti in seguito al tentativo di Capriati di sfuggire ai colpi di mitraglietta fuggendo verso l'ingresso del portone dello stabile, sparò a sua volta ulteriori colpi di arma da fuoco, utilizzando una pistola cal. 9x21, colpendo la vittima al capo, quando era ormai riversa a terra. Capriati era morto il giorno seguente in ospedale.
L'omicidio è stato commesso con le modalità tipiche dell'azione mafiosa, affinché fosse chiara a tutti la portata esemplare dell'azione criminale. L'omicidio aveva portato ad una vera decapitazione dello storico clan "Capriati", portando ad uno stravolgimento degli equilibri della criminalità organizzata barese: l'accertamento dei fatti è stato, ovviamente, ostacolato dal contesto profondamente omertoso e dalla forza intimidatrice esercitata dai protagonisti, personaggi di rilevante caratura criminale.
La piattaforma indiziaria a carico degli indagati è caratterizzata sia dalle dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia che, soprattutto, dalle conversazioni dei familiari di Capriati, intercettate, e dalle conversazioni tra gli stessi indagati. Le concrete modalità della condotta e la sua progettazione in chiave punitiva, al fine di affermare l'egemonia criminale, previo studio accurato del modus operandi e dell'obiettivo da colpire ad opera dei sicari, hanno consentito di ritenere sussistente la circostanza aggravante contestata della premeditazione.