I tre baresi
I tre baresi "emigrati"
Attualità

Via dalla Puglia per una nuova vita, tre storie di chi ce l'ha fatta e torna per le feste

Diego e Rossella da Copenaghen; Daniela da Montpellier e Giuseppe da Manchester raccontano le loro esperienze

Una laurea in tasca, uno o più master, persino ottime referenze lavorative ma il muro del "le faremo sapere" non viene abbattuto e ci si ritrova a fare i conti con malumori, affitti da pagare, rate della macchina, genitori stressanti, orologio biologico impazzito, conto in banca in rosso. Che fare allora? Alcuni si lanciano e intraprendono percorsi imprenditoriali più o meno fortunati, altri si accontentano di lavori precari e sottopagati, altri decidono di partire e cercare fortuna altrove. Sono tanti i pugliesi che "mollano" e, valigia al seguito, salutano tutti e si imbarcano verso Paesi come la Gran Bretagna, la Germania, la Spagna o gli Usa. Questo perché senza occupazione, dal Sud si va via. Dall'inizio del nuovo millennio - secondo l'ultimo rapporto Svimez - hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni e 15 mila residenti, la metà giovani fino a 34 anni, quasi un quinto laureati. Quasi mai poi chi lascia tutto fa ritorno perché una volta trovato un posto di lavoro e delle condizioni di vita migliori di quelle lasciate alle spalle si fa fatica a ritornare sui propri passi. I parenti e gli amici restano però, così come l'amore per la propria terra, ragion per cui durante le feste si torna in Puglia.

È successo a Diego e Rossella, una coppia barese a Copenaghen da 7 anni e mezzo. 51 anni lui e 41 lei, hanno percorsi di vita diversi e prospettive diverse che però in Danimarca hanno trovato un'unica risposta. Diego è un pianista e compositore jazz, a Bari faceva fatica a lavorare mentre a Copenaghen ha trovato un ambiente musicale più stimolante e gratificante. «Della Danimarca - spiega Diego - apprezzo soprattutto l'organizzazione, il modo di vivere e il rispetto altrui. Ci si muove con qualsiasi mezzo pubblico o privato (soprattutto bici, ci sono poche auto) senza nessuna difficoltà. La gente non è stressata, sa che se deve andare da qualche parte può farlo senza il rischio di restare al palo. Il rovescio della medaglia è l'integrazione. A Copenaghen resti comunque uno straniero, in ambito musicale ad esempio, ignoro il perché, se provieni da Inghilterra o Stati Uniti vieni considerato quasi migliore di loro, ma se sei italiano, spagnolo, greco o altro, sei quasi di serie B e fatichi ad entrare nel loro mondo. Naturalmente parlo in generale. Cosa mi manca della Puglia? Tutto. Dai paesaggi, alla luce, al cibo (qui è pessimo)». «È vero si mangia male a Copenaghen - aggiunge Rossella - e il clima è forse l'aspetto peggiore della vita qui. Novembre, dicembre e gennaio sono mesi terribili perché il sole non c'è quasi mai. In compenso però la gente non è così fredda anche se per uscire con gli amici danesi occorre prendere appuntamento almeno una settimana prima. Sul lavoro (la Metro società che ha realizzato la futuristica metropolitana senza conducente di Copenaghen - in collaborazione con Atm e Hitachi Rail STS) ci sono tanti benefit che in Italia neanche immaginavo, la palestra, lo psicologo, l'asilo etc. lavorando gomito a gomito con i danesi, si riesce anche facilmente ad integrarsi, ma bisogna impegnarsi».

Daniela vive da 5 anni in Francia, a Montpellier. Dopo la laurea specialistica all'Università di Bari, un master in marketing e alcune esperienze nel giornalismo, ha capito che la sua strada era la ricerca. Ma in Italia le porte erano chiuse, e su consiglio della sua relatrice di tesi ha deciso di buttarsi, fare le valigie ed andare a cercare la sua strada all'estero. «Subito dopo la specialistica ho capito che la passione per la scrittura, che da sempre mi aveva animata, prendeva la direzione della ricerca. Per intraprendere questo percorso ci vuole passione, coraggio e incoscienza perché, detta in modo brutale, a posteriori può risultare una scelta suicida. Di buono c'è che si sa già di che morte si va a morire: precariato. Ma devo ringraziare la mia direttrice di tesi per avermi indirizzata verso l'estero. Con grande lucidità mi ha consigliato di non fare un dottorato in Italia e così sono partita per l'Université Paul Valéry Montpellier 3». Il percorso all'estero rispetto a come funziona nelle università italiana è diverso dato che: «In Francia non si accede per concorso, non c'è borsa di studio - sottolinea Daniela - ma si può insegnare ed essere retribuiti durante i tre anni, esistono dei contratti appositi per i dottorandi e i dottori come la charge de cours o l'ATER; inoltre la procedura per l'abilitazione e per l'avanzamento di carriera è molto chiara e, rispetto all'università italiana, concede ancora qualche possibilità. In Francia esiste la meritocrazia. Sembra tutto molto bello, ma non è per niente facile. Le difficoltà economiche e culturali, la solitudine sono dei compagni di viaggio fedeli. Spesso amici francesi e italiani mi chiedono se resterò lì o se tornerò in Italia e io rispondo che è una bella domanda. Probabilmente rimarrò all'estero, magari non in Francia, ma difficilmente rientrerò in Patria». Il ritorno a casa per le feste è d'obbligo, anche se non sempre si riesce. E in merito al dover vivere all'estero sotttolinea: «Non sono nostalgica, anzi, ho sempre avuto il mal du pays al contrario, il costante desiderio di ritornare all'estero dopo i due Erasmus in Spagna. Dopo cinque anni continuo ad avere un solo piano A e la voglia di viaggiare oltre i confini italiani. Non rimpiango di aver lasciato il mio Paese, ma avrei voluto poter scegliere, invece di guardare all'estero come un'opzione quasi forzata».

Giuseppe, 29 anni, laureato in Ingegneria edile-architettura al Politecnico di Bari, per lavoro si è trasferito a Milano, base per tanti altri viaggi professionali. Dopo aver supervisionato il cantiere della nuova metropolitana a Doha, in Qatar (paese che ospiterà i mondiali di calcio nel 2022), negli ultimi mesi si è trasferito a Manchester, nel Regno Unito, per lavorare a un importante progetto di edilizia privata. Per Natale il ritorno nella sua Bari: «Sono molto contento di poter riabbracciare la mia terra in un periodo dell'anno in cui è possibile rivedere vecchi amici che tornano da tutto il mondo», dice. La realizzazione professionale, come tanti giovani pugliesi, se l'è dovuta andare a prendere altrove, anche molto lontano da casa. Quando gli viene chiesto se tornerebbe a Bari qualora dovesse presentarsi una possibilità professionale, Giuseppe risponde: «Bari è una città che sta vivendo un momento positivo, come confermano le recenti classifiche di vivibilità elaborate dal Sole 24ore, tuttavia c'è ancora tanto da lavorare sul fronte occupazionale. Non escludo la possibilità che Bari possa essere un trampolino di lancio per certi aspetti». Infine, ovviamente, un pensiero per la squadra di calcio del cuore. Giuseppe, come tanti baresi e tifosi del Bari che vivono e lavorano fuori città, aspettava il 22 dicembre per tornare al San Nicola. Un desiderio infranto dalla decisione della Lega pro di scioperare in occasione della prima giornata di ritorno: «Sono molto dispiaciuto - dice Giuseppe con rammarico. Manco dal San Nicola da Natale 2018. Spero di tornare per vedere una finale play-off, che sarebbe meritata per il lavoro svolto finora da mister Vivarini».
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