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sudtirol bari. Foto Ssc Bari
Calcio

Bari sparagnino e beffato. Ora serve cuore per fare l’impresa

Doccia fredda per i galletti al Druso. Ma la semifinale playoff è ancora tutta da giocare

Guai a speculare sui pareggi. È stato questo il filo conduttore pronunciato da Vicari e Mignani nella settimana di avvicinamento alla semifinale playoff, ma poi puntualmente disatteso all'atto pratico. Perché, si sa, le strade possono essere anche lastricate di buone intenzioni e nobili propositi, ma quando entra in gioco il principio di realtà bisogna anche fare i conti con un po' di sana, vecchia, tattica.

Peccato, perché il Bari perde 1-0 contro il Sudtirol al Druso, arrivando però a un paio di minuti dal traguardo dello 0-0 chiaramente dichiarato dall'atteggiamento in campo della squadra di Mignani, e che avrebbe garantito ai galletti un piede e mezzo nella finale per la promozione in A. E, a conti fatti, la strategia avrebbe anche avuto un senso, soprattutto dopo aver conosciuto il nome dell'avversario. Sì, perché il Sudtirol, nonostante il bilinguismo e il passato austriaco di Bolzano, è squadra maestra nel calcio all'italiana: difesa rocciosa, organizzazione certosina, ripartenze fulminanti e supremazia nel gioco aereo. Provare a scoprirsi sarebbe stato un inutile rischio, soprattutto per un tecnico come Mignani che predica l'equilibrio come San Francesco predicava la povertà.

Il risultato non premia i biancorossi, al di là dei loro demeriti (che pur ci sono). Mignani mette in campo una formazione intelligente, al netto dell'indisponibilità dell'acciaccato Folorunsho e dell'infortunio di Pucino. La scelta di Dorval a destra è obbligata, e per equilibrare la difesa davanti al coriaceo 3-5-2 del "maestro" Bisoli a sinistra prende posto Mazzotta, protetti da Maita e Benedetti mezze ali e dal rientrante Maiello, che si vede poco ma garantisce sempre ordine e fosforo nella zona nevralgica del campo. E, a conti fatti, la scelta nel primo tempo paga: il Sudtirol praticamente non si vede mai, pur essendo quella altoatesina la squadra che aveva bisogno di segnare per sovvertire il pronostico e annullare il vantaggio della terza in classifica. Non che, per carità, il Bari produca niente di clamoroso, ma l'assetto con tre attaccanti puri come Esposito, Antenucci e Cheddira qualche piccolo pensiero a Poluzzi arriva a darlo.

Al Bari e a Mignani poco o nulla si può dire sulla gestione della gara per i primi 60'/65' di gioco, quando il Bari fa il suo in difesa e prova a ripartire, sfruttando il suo pedigree di squadra da trasferta. Convince, però, molto meno l'atteggiamento eccessivamente sparagnino dell'ultima mezz'ora; se "attenzione" e "melina" si pronunciano in modi diversi e hanno significati diversi, un motivo dovrà pur esserci. Gli ingressi di Botta, Scheidler, Benali e Molina (per Antenucci, Esposito, Maiello e Maita) nel finale di gara denunciano le intenzioni del tecnico ospite, chiaramente preoccupato di congelare il possesso senza neanche più provare a ripartire.

E, beninteso, si può fare, alla luce del vantaggio portato dal Bari fin dal fischio d'inizio, e dell'inconsistenza dell'avversario in fase produttiva. Però c'è bisogno di non sbagliare nulla; e, invece, il Bari sbaglia. E paga. Se Mazzocchi non riesce a far niente di meglio che sparare fuori dall'altezza dei dischetto sulla sponda di Odogwu (sovrastato Vicari nello scontro aereo), al 92' Rover è molto più bravo ad aver ragione dell'opposizione tenera di Mazzotta, e a sfruttare l'assist di Casiraghi calibrato col goniometro.

Non due nomi a caso, quelli di Rover e Casiraghi. In panchina, infatti, i bolzanini hanno un navigato lupo di mare come Bisoli, che al suo (esordiente in B, va ricordato anche fino allo sfinimento se necessario) collega Mignani tende il trappolone perfetto, in cui il tecnico ospite cade con tutte le scarpe. Bisoli attende per 70', dà quasi l'impressione di mettere in pratica una tattica incomprensibile, e poi spariglia le carte con l'ingresso dei suoi giocatori migliori. Una tattica non particolarmente originale, ma nel calcio non s'inventa ormai più nulla; Mignani e i suoi avevano l'obbligo di leggere meglio l'evoluzione del gioco, e invece dopo il tentativo moscio di Cheddira su assist di Dorval praticamente il Bari va in letargo.

Passaggi lenti, quasi sempre indietro, nel tentativo di controllare il possesso, congelare il risultato e rimandare tutto al 2 giugno, data della sfida decisiva al San Nicola. E, ripetiamo, per poco i galletti non riescono nel loro piano, che sarà anche "braccino", ma avrebbe confezionato un pareggio preziosissimo nel computo totale della doppia sfida. Un rischio, calcolato sì, ma calcolato male. Perché quando la letargia si diffonde come un rapido contagio nelle retrovie, i prodromi del pasticcio ormai sono già belli che delineati.

Insomma, ora sì che è un bel guaio, perché al San Nicola sarà il Sudtirol a poter giocare per il pareggio; e la squadra di Bisoli è laureata in catenaccio "cum laude". Servirà un altro Bari, stavolta con la sciabola in mano e non con la calcolatrice, per ribaltare un risultato "antipatico" come pochi. Ma, è bene ribadirlo, nulla è perduto, non fosse altro perché (anche al termine del terzo confronto stagionale) il Sudtirol ha dimostrato di non essere affatto superiore ai galletti.

Per chi ci crede, ci sarà anche sa sfatare la cabala di un Bari mai vincente quando il suo stadio si veste a festa. E il San Nicola sarà rovente nel giorno della festa della Repubblica, perché l'occasione è ghiotta e tutti vogliono fare la loro parte. Come quella che hanno fatto i 700 cuori biancorossi coprendo l'intera distanza dello Stivale per sostenere i loro beniamini lassù fino tra le montagne dell'Alto Adige. Una prova d'amore incondizionato, che conferma come la tifoseria biancorossa abbia già stravinto (e da un pezzo) il campionato delle curve e della passione.

Ora tocca a Mignani e ai suoi ragazzi in campo: la tentazione di speculare sul risultato è andata via nell'esatto momento in cui Rover ha dato la capocciata vincente nella partita d'andata, adesso c'è da gettare il cuore oltre l'ostacolo per fare l'impresa. La città lo canta ancora, e lo canterà di nuovo: "Bari, ci devi credere".
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