Calcio
Centododici anni con il cuore biancorosso, tanti auguri Bari
Una passione che attraversa le generazioni e rimane sempre viva
Bari - mercoledì 15 gennaio 2020
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Era il 15 gennaio del 1908 quando il portiere austriaco Floriano Ludwig fondava la Foot ball club Bari, nel retrobottega di un locale in via Roberto da Bari. Sono passati 112 anni esatti da quel giorno; sembra una vita fa. Anzi... È una vita fa. Tutto è cambiato rispetto a quel 15 gennaio, eppure, come in una vicenda gattopardesca, nulla è cambiato. Già, perché nel frattempo da "la Bari" si è passati a "il Bari", sono cambiati allenatori, calciatori, dirigenti, presidenti e società, ma in fondo nulla è cambiato.
Ciò che resta è il valore più sacro e profondo: il cuore dei baresi che amano una maglia bianca e rossa, un galletto che è forse il più potente simbolo identitario della città. Bari e il Bari: un legame forte, intenso, antico. Un legame che nemmeno le vicissitudini tragiche degli ultimi anni sono riuscite a spezzare.
No, perché quello che lega i tifosi biancorossi alla loro squadra non è semplicemente affetto, non è solamente lo svago della domenica pomeriggio allo stadio. Fra Bari e il Bari esiste il più robusto e saldo dei vincoli, quello che nessuno può recidere dando ascolto solo al proprio arbitrio. È puro e semplice amore.
Sì, è vero, questa squadra ci fa soffrire, ci fa arrabbiare, ci fa piangere. Ed è proprio per questo che la amiamo, è proprio per questo che Bari non può stare senza il Bari, e viceversa. Ciò che ci lega a una maglia biancorossa e a un galletto con la cresta levata è passione allo stato puro. E si sa... Al cuor non si comanda. Un sentimento cieco, illogico, irrazionale e bellissimo. Quella stessa passione che dà a tutti noi il virtuale patentino da allenatori e direttori sportivi, un vortice che ci obbliga ogni settimana a stringere i denti, a fare uno sforzo in più, una trasferta in più e una domenica in meno con amici e parenti.
E questo solo perché «Ti amo, ti porto nel cuore, il bianco e il rosso è il mio unico colore», come cantano gli ultras della curva nord prima, durante e dopo ogni partita, sia essa in casa o fuori. Essere tifosi del Bari non è una scelta, ma una vocazione. Se si potesse decidere forse nessuno finirebbe a sostenere una squadra che assai di rado vince, solleva trofei, raccoglie gioie. Ma i tifosi del Bari sono tantissimi; ci sono quelli di sempre, quelli di alcune volte, quelli che hanno il cuore biancorosso e ancora non lo sanno. Una passione che si tramanda da padre a figlio, da nonno a nipote, e che col tempo si rafforza e diventa di volta in volta più viva invece di sbiadire e accartocciarsi su un calcio sempre più business e sempre meno sentimento.
Siamo un popolo strano, noi galletti. Un popolo che ha accettato supinamente un destino fatto di tante amarezze e poche soddisfazioni. E forse è proprio questo che fa di noi "i baresi": un concetto che va oltre il semplice tifo per una squadra di pallone.
Senza questo amore folle e cieco non avremmo superato l'ostacolo dei due fallimenti in quattro anni, non avremmo retto all'onta della serie D, non avremmo festeggiato il ritorno fra i professionisti come la vittoria di uno scudetto. Per noi il Bari significa tanto, per molti significa tutto. Quella del barese tifoso del Bari è una mission: borbottare, criticare, mugugnare, sospirare, esultare per un goal fatto e disperarsi per un goal subito sono tutti tasselli di un medesimo puzzle, di una coscienza collettiva che fa dei biancorossi non una semplice tifoseria, ma un popolo.
«Sappiate amare la Bari, sappiatela custodire e guardatela sempre da innamorati», diceva Floriano Ludwig, l'austriaco che per primo ha misurato questa febbre galoppante e meravigliosa. Ora siamo in serie C, a sgomitare per tornare fra i grandi, nel posto che tutti noi pensiamo ci competa. E, possiamo esserne certi, faremo di tutto per raggiungere l'obiettivo, che sia dalla porta principale della promozione diretta o dalla finestra dei playoff. Il Bari, a differenza di quello che troppe volte è accaduto in passato, ora ha una proprietà forte e solida, un progetto tecnico ed economico valido. Quello che non è mai mancato è lo sguardo un po' stolido di chi è innamorato alla follia; lo sguardo perso e dissennato che hanno i baresi verso la loro Bari. Tanti auguri vecchia stella del Sud.
Ciò che resta è il valore più sacro e profondo: il cuore dei baresi che amano una maglia bianca e rossa, un galletto che è forse il più potente simbolo identitario della città. Bari e il Bari: un legame forte, intenso, antico. Un legame che nemmeno le vicissitudini tragiche degli ultimi anni sono riuscite a spezzare.
No, perché quello che lega i tifosi biancorossi alla loro squadra non è semplicemente affetto, non è solamente lo svago della domenica pomeriggio allo stadio. Fra Bari e il Bari esiste il più robusto e saldo dei vincoli, quello che nessuno può recidere dando ascolto solo al proprio arbitrio. È puro e semplice amore.
Sì, è vero, questa squadra ci fa soffrire, ci fa arrabbiare, ci fa piangere. Ed è proprio per questo che la amiamo, è proprio per questo che Bari non può stare senza il Bari, e viceversa. Ciò che ci lega a una maglia biancorossa e a un galletto con la cresta levata è passione allo stato puro. E si sa... Al cuor non si comanda. Un sentimento cieco, illogico, irrazionale e bellissimo. Quella stessa passione che dà a tutti noi il virtuale patentino da allenatori e direttori sportivi, un vortice che ci obbliga ogni settimana a stringere i denti, a fare uno sforzo in più, una trasferta in più e una domenica in meno con amici e parenti.
E questo solo perché «Ti amo, ti porto nel cuore, il bianco e il rosso è il mio unico colore», come cantano gli ultras della curva nord prima, durante e dopo ogni partita, sia essa in casa o fuori. Essere tifosi del Bari non è una scelta, ma una vocazione. Se si potesse decidere forse nessuno finirebbe a sostenere una squadra che assai di rado vince, solleva trofei, raccoglie gioie. Ma i tifosi del Bari sono tantissimi; ci sono quelli di sempre, quelli di alcune volte, quelli che hanno il cuore biancorosso e ancora non lo sanno. Una passione che si tramanda da padre a figlio, da nonno a nipote, e che col tempo si rafforza e diventa di volta in volta più viva invece di sbiadire e accartocciarsi su un calcio sempre più business e sempre meno sentimento.
Siamo un popolo strano, noi galletti. Un popolo che ha accettato supinamente un destino fatto di tante amarezze e poche soddisfazioni. E forse è proprio questo che fa di noi "i baresi": un concetto che va oltre il semplice tifo per una squadra di pallone.
Senza questo amore folle e cieco non avremmo superato l'ostacolo dei due fallimenti in quattro anni, non avremmo retto all'onta della serie D, non avremmo festeggiato il ritorno fra i professionisti come la vittoria di uno scudetto. Per noi il Bari significa tanto, per molti significa tutto. Quella del barese tifoso del Bari è una mission: borbottare, criticare, mugugnare, sospirare, esultare per un goal fatto e disperarsi per un goal subito sono tutti tasselli di un medesimo puzzle, di una coscienza collettiva che fa dei biancorossi non una semplice tifoseria, ma un popolo.
«Sappiate amare la Bari, sappiatela custodire e guardatela sempre da innamorati», diceva Floriano Ludwig, l'austriaco che per primo ha misurato questa febbre galoppante e meravigliosa. Ora siamo in serie C, a sgomitare per tornare fra i grandi, nel posto che tutti noi pensiamo ci competa. E, possiamo esserne certi, faremo di tutto per raggiungere l'obiettivo, che sia dalla porta principale della promozione diretta o dalla finestra dei playoff. Il Bari, a differenza di quello che troppe volte è accaduto in passato, ora ha una proprietà forte e solida, un progetto tecnico ed economico valido. Quello che non è mai mancato è lo sguardo un po' stolido di chi è innamorato alla follia; lo sguardo perso e dissennato che hanno i baresi verso la loro Bari. Tanti auguri vecchia stella del Sud.