Calcio
Per il Bari una stagione di occasioni perse, ora imparare dagli errori diventa un obbligo
In serie B va la Reggiana, dopo una finale dominata. Biancorossi che devono ripartire per programmare il futuro
Bari - giovedì 23 luglio 2020
10.57
Una favola senza lieto fine. Doveva essere l'epilogo dolce di un racconto tortuoso, quasi mai lineare, sempre di rincorsa, e invece si è trasformata nell'ennesima occasione gettata alle ortiche. La stagione del Bari finisce con la bruciante delusione della sconfitta, la prima di Vincenzo Vivarini sulla panchina del Bari, proprio quella che non doveva perdere a nessun costo. In serie B ci va la Reggiana, e con pieno merito. A esprimere il verdetto finale è stato il campo del Mapei Stadium di Reggio Emilia, dove gli amaranto di mister Alvini hanno strapazzato un Bari semplicemente troppo brutto per essere vero, mai calato nel contesto dell'ultimo atto, del dentro o fuori decisivo.
Al di là dei palesi meriti della Reggio Audace, trascinata dal talento cristallino di Kargbo che firma la vittoria per 1-0, restano aperti tanti perché sulla partita del Bari, specchio di un campionato iniziato male e finito peggio. I biancorossi si sono letteralmente squagliati sul più bello, sono crollati fisicamente e psicologicamente proprio nel momento in cui bisognava schiacciare sull'acceleratore e imboccare a tutto gas l'ultimo rettilineo.
Sul risultato finale pesano due episodi clamorosamente contrari al Bari e alle sue ambizioni: l'infortunio di Simeri dopo 5' che ha costretto Vivarini ha rivedere in corso d'opera tutto l'impianto di gara, con Costantino gettato nella mischia all'improvviso, e la rete del pari annullata ad Antenucci per un fallo di mano che si fa fatica a comprendere anche con il nuovo, severissimo, regolamento in materia. La tattica di Vivarini, lasciar sfogare la Reggiana nella prima parte di gara per poi tentare di colpire in contropiede, poteva anche essere giusta, ma alla fine i galletti si sono scottati giocando col fuoco di un avversario dimostratosi anche più ostico delle previsioni. Dopo meno di 10' la squadra di Alvini aveva già colpito due pali, a opera di Varone e proprio Kargbo, scheggia impazzita alle spalle di una retroguardia lentissima (male Ciofani e Sabbione, Costa spento); con un po' più di precisione nel mirino granata avremmo probabilmente raccontato una sconfitta di proporzioni umilianti.
La Reggiana l'ha vinta perché ha voluto di più la vittoria, o più semplicemente l'ha voluta e basta. Per larghissimi tratti della gara il Bari è sembrato essersi trovato per caso nella partita della vita. Vivarini ha provato a gestirla, a giocare a scacchi con un avversario che, invece, si è adoperato da subito per spezzare l'equilibrio, con più fame e meno tatticismi. Di fatto i biancorossi si fanno vedere solo con le iniziative personali di Antenucci, che nel primo tempo spara a mezzo centimetro dal palo, nella ripresa trova un super goal annullato da un regolamento capestro e cavilloso. Con il pareggio sarebbe stata un'altra partita, ma questo non deve suonare come una giustificazione o, peggio, un alibi. L'uscita di Simeri ha tolto tutta la grinta al Bari, e una squadra costruita per vincere non può permettersi di dipendere da un solo calciatore, anche solo per l'aspetto motivazionale (ma anche tecnico). Laribi e Hamlili hanno pagato il ritardo di condizione (e ci sta), ma in particolar modo di personalità, caratteristica che sarebbe stato lecito aspettarsi da gente di questa caratura (soprattutto l'italo-marocchino, trascinatore in più occasioni).
Il percorso playoff degli uomini di Vivarini è stato quasi sempre accidentato, affannoso. Vero, la condizione fisica era precaria dopo il lockdown e lo stop forzato, ma il Bari ha fatto vedere di essere una macchina da vittorie solo nel supplementare della semi con la Carrarese, quando il rischio di essere sbattuti fuori anzitempo si era fatto molto più di un fantasma. Con l'acqua alla gola il Bari ha fatto il Bari; troppo poco, troppo tardi.
Un leitmotiv visto e rivisto in questa strana stagione biancorossa. Vivarini si è dimostrato un ottimo allenatore, che ha inanellato 27 risultati utili di fila, record difficilmente battibile che addolcisce un finale deludente. Ma in troppe circostanze al tecnico abruzzese è mancato quel pizzico di coraggio in più per sbilanciare la squadra alla ricerca della vittoria. Il Bari, sì, non aveva mai perso prima di ieri, ma quanti pareggi evitabili sono stati collezionati durante una stagione in cui la Reggina ha dominato il gruppo C senza mai sentire veramente il fiato dei galletti sul collo?
Era il primo subentro per il mister ex Empoli, una situazione complessa per uno come lui, che cerca di arrivare al risultato con il gioco. Questa attenuante a Vivarini va concessa, così come va sottolineato che il tecnico ha provato in tutti i modi anche a snaturare la sua filosofia per esaltare le qualità individuali in rosa, come era nei progetti (irrealizzati) di Cornacchini a inizio stagione. Alla fine, però, il Bari è rimasto un ibrido, schiacciato fra la voglia di vincere con il bel gioco e l'istinto di darla a Mirco, tanto se la sbriga lui lì davanti.
Ora c'è da resettare tutto e ricominciare. Vivarini è già stato confermato sulla panca del Bari; scelta logica e che in prospettiva può dare soddisfazioni. Sarà un mercato breve, in cui il mister dovrà plasmare il suo nuovo Bari, che sappia interpretare il gioco insegnato dal maestro Sarri. Un compito non semplice, ma di vitale importanza. L'obbligo è imparare dai tanti errori commessi e, soprattutto, non disperdere l'entusiasmo (il priscio) che i playoff hanno fatto risvegliare in città, anche in un malinconico finale di stagione a porte chiuse.
Al di là dei palesi meriti della Reggio Audace, trascinata dal talento cristallino di Kargbo che firma la vittoria per 1-0, restano aperti tanti perché sulla partita del Bari, specchio di un campionato iniziato male e finito peggio. I biancorossi si sono letteralmente squagliati sul più bello, sono crollati fisicamente e psicologicamente proprio nel momento in cui bisognava schiacciare sull'acceleratore e imboccare a tutto gas l'ultimo rettilineo.
Sul risultato finale pesano due episodi clamorosamente contrari al Bari e alle sue ambizioni: l'infortunio di Simeri dopo 5' che ha costretto Vivarini ha rivedere in corso d'opera tutto l'impianto di gara, con Costantino gettato nella mischia all'improvviso, e la rete del pari annullata ad Antenucci per un fallo di mano che si fa fatica a comprendere anche con il nuovo, severissimo, regolamento in materia. La tattica di Vivarini, lasciar sfogare la Reggiana nella prima parte di gara per poi tentare di colpire in contropiede, poteva anche essere giusta, ma alla fine i galletti si sono scottati giocando col fuoco di un avversario dimostratosi anche più ostico delle previsioni. Dopo meno di 10' la squadra di Alvini aveva già colpito due pali, a opera di Varone e proprio Kargbo, scheggia impazzita alle spalle di una retroguardia lentissima (male Ciofani e Sabbione, Costa spento); con un po' più di precisione nel mirino granata avremmo probabilmente raccontato una sconfitta di proporzioni umilianti.
La Reggiana l'ha vinta perché ha voluto di più la vittoria, o più semplicemente l'ha voluta e basta. Per larghissimi tratti della gara il Bari è sembrato essersi trovato per caso nella partita della vita. Vivarini ha provato a gestirla, a giocare a scacchi con un avversario che, invece, si è adoperato da subito per spezzare l'equilibrio, con più fame e meno tatticismi. Di fatto i biancorossi si fanno vedere solo con le iniziative personali di Antenucci, che nel primo tempo spara a mezzo centimetro dal palo, nella ripresa trova un super goal annullato da un regolamento capestro e cavilloso. Con il pareggio sarebbe stata un'altra partita, ma questo non deve suonare come una giustificazione o, peggio, un alibi. L'uscita di Simeri ha tolto tutta la grinta al Bari, e una squadra costruita per vincere non può permettersi di dipendere da un solo calciatore, anche solo per l'aspetto motivazionale (ma anche tecnico). Laribi e Hamlili hanno pagato il ritardo di condizione (e ci sta), ma in particolar modo di personalità, caratteristica che sarebbe stato lecito aspettarsi da gente di questa caratura (soprattutto l'italo-marocchino, trascinatore in più occasioni).
Il percorso playoff degli uomini di Vivarini è stato quasi sempre accidentato, affannoso. Vero, la condizione fisica era precaria dopo il lockdown e lo stop forzato, ma il Bari ha fatto vedere di essere una macchina da vittorie solo nel supplementare della semi con la Carrarese, quando il rischio di essere sbattuti fuori anzitempo si era fatto molto più di un fantasma. Con l'acqua alla gola il Bari ha fatto il Bari; troppo poco, troppo tardi.
Un leitmotiv visto e rivisto in questa strana stagione biancorossa. Vivarini si è dimostrato un ottimo allenatore, che ha inanellato 27 risultati utili di fila, record difficilmente battibile che addolcisce un finale deludente. Ma in troppe circostanze al tecnico abruzzese è mancato quel pizzico di coraggio in più per sbilanciare la squadra alla ricerca della vittoria. Il Bari, sì, non aveva mai perso prima di ieri, ma quanti pareggi evitabili sono stati collezionati durante una stagione in cui la Reggina ha dominato il gruppo C senza mai sentire veramente il fiato dei galletti sul collo?
Era il primo subentro per il mister ex Empoli, una situazione complessa per uno come lui, che cerca di arrivare al risultato con il gioco. Questa attenuante a Vivarini va concessa, così come va sottolineato che il tecnico ha provato in tutti i modi anche a snaturare la sua filosofia per esaltare le qualità individuali in rosa, come era nei progetti (irrealizzati) di Cornacchini a inizio stagione. Alla fine, però, il Bari è rimasto un ibrido, schiacciato fra la voglia di vincere con il bel gioco e l'istinto di darla a Mirco, tanto se la sbriga lui lì davanti.
Ora c'è da resettare tutto e ricominciare. Vivarini è già stato confermato sulla panca del Bari; scelta logica e che in prospettiva può dare soddisfazioni. Sarà un mercato breve, in cui il mister dovrà plasmare il suo nuovo Bari, che sappia interpretare il gioco insegnato dal maestro Sarri. Un compito non semplice, ma di vitale importanza. L'obbligo è imparare dai tanti errori commessi e, soprattutto, non disperdere l'entusiasmo (il priscio) che i playoff hanno fatto risvegliare in città, anche in un malinconico finale di stagione a porte chiuse.